The Project Gutenberg eBook of Le avventure d'Alice nel paese delle meraviglie, by Lewis Carroll, Translated by Teodorico Pietrocola-Rossetti, Illustrated by Sir John Tenniel This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org Title: Le avventure d'Alice nel paese delle meraviglie Author: Lewis Carroll Release Date: March 20, 2009 [eBook #28371] Language: Italian ***START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LE AVVENTURE D'ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE*** E-text prepared by Carlo Traverso, Barbara Magni, and the Project Gutenberg Online Distributed Proofreading Team (http://www.pgdp.net) from digital material generously made available by Internet Archive (http://www.archive.org) Note: Project Gutenberg also has an HTML version of this file which includes the original illustrations. 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Io non osava Fare il broncio severo ed il ribelle A tre bocche di rose,--a tre donzelle! La Prima, con la voce di comando, Fieramente m'impone "Cominciate!" La Seconda mi dice "Io ti domando Un racconto di silfidi e di fate." La Terza (io non l'avrei giammai creduto), M'interrompe una volta ogni minuto. Eccole! ferme, attente, silenziose, Seguire con l'accesa fantasia La Fanciulla vagante in portentose Regioni di sogni e poesia, Che con bestie ed uccelli ognor favella, E con forma del Ver l'Errore abbella. La Storia non toccava ancora il fine E appariva di gia confusa e incolta; Allor pregai le care fanciulline Di finir la novella un'altra volta, Ma risposer piu vispe e piu raggianti, "No, _questa_ e la tua volta! Avanti, avanti!" E cosi le Avventure raccontai Ad una ad una alle fanciulle amate, Ed or questa novella ne formai Ch'e un tessuto di favole accozzate;-- Ma il Sol gia volge al suo tramonto, andiamo! Alla sponda! alla sponda, orsu, voghiamo!-- O Alice, accogli questa mia Novella, E fra i sogni d'infanzia la riponi, Deh! fanne d'essa una ghirlanda bella, E sulla tua memoria la deponi, Qual pellegrin che serba un arso fiore Di suol lontano, e lo tien stretto al core!-- INDICE. CAP. PAGE. I. GIU NELLA CONIGLIERA 1 II. LO STAGNO DI LAGRIME 15 III. CORSA ARRUFFATA, E RACCONTO CON LA CODA 29 IV. LA CASETTINA DEL CONIGLIO 41 V. CONSIGLI D'UN BRUCO 58 VI. PORCO E PEPE 74 VII. UN TE DI MATTI 93 VIII. IL CROQUET DELLA REGINA 110 IX. STORIA DELLA FALSA-TESTUGGINE 128 X. LA CONTRADDANZA DE' GAMBERI 145 XI. CHI HA RUBATO LE TORTE? 158 XII. TESTIMONIANZA D'ALICE 172 [Illustrazione] CAPITOLO I. GIU NELLA CONIGLIERA. Alice cominciava a sentirsi mortalmente stanca di sedere sul poggio, accanto a sua sorella, senza far nulla: una o due volte aveva gittato lo sguardo sul libro che leggeva sua sorella, ma non c'erano imagini ne dialoghi, "e a che serve un libro," penso Alice, "senza imagini e dialoghi?" E andava fantasticando col suo cervello (come meglio poteva, perche lo stellone l'avea resa sonnacchiosa e grullina), se il piacere di fare una ghirlanda di margherite valesse la noja di levarsi su, e cogliere i fiori, quand'ecco un Coniglio bianco con gli occhi di rubino le passo da vicino. Davvero non c'era _troppo_ da meravigliarsi di cio, ne Alice penso che fosse cosa _troppo_ stravagante di sentire parlare il Coniglio, il quale diceva fra se "Oime! Oimei! ho fatto tardi!" (quando se lo rammento in seguito s'accorse che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma allora le sembro una cosa assai naturale): ma quando il Coniglio _trasse un oriuolo dal taschino del panciotto_, e vi affiso gli occhi, e scappo via, Alice salto in piedi, perche l'era venuto in mente ch'ella non avea mai veduto un Coniglio col panciotto e il suo rispettivo taschino, ne con un oriuolo da starvici dentro, e divorata dalla curiosita, traverso il campo correndogli appresso, e giunse proprio a tempo di vederlo slanciarsi in una spaziosa conigliera, di sotto alla siepe. In un altro istante, giu Alice scivolo, correndogli appresso, senza punto riflettere come mai avrebbe fatto per riuscirne fuori. La buca della conigliera sfilava diritto come una galleria di _tunnel_, e poi s'inabissava tanto rapidamente che Alice non ebbe un solo istante per considerare se avesse potuto fermarsi, poiche si sentiva cader giu rotoloni in qualche precipizio che rassomigliava a un pozzo profondissimo. Una delle due, o il pozzo era arci-profondo, o ella vi ruzzolava assai adagino, poiche ebbe tempo, mentre cadeva, di guardare tutto intorno, e stupiva pensando a cio che le avverrebbe poi. Prima di tutto aguzzo la vista e cerco di vedere nel fondo per scoprire cio che le accaderebbe, ma gli era bujo affatto e non ci si vedea punto: indi guardo alle pareti del pozzo ed osservo ch'erano ricoperte di credenze e di scaffali da libri; qua e la vide mappe e quadri che pendeano da' chiodi. Andando giu prese di volo un vasettino che aveva un cartello, lo lesse: "CONSERVA D'ARANCE," ma oime! era vuoto e resto delusa: non volle lasciar cadere il vasettino per non ammazzare chi era in fondo, e andando sempre giu lo depose in un'altra credenza. "Bene," penso Alice, "dopo una caduta tale, mi parra proprio un niente il ruzzolare per le scale! A casa poi, come mi crederanno coraggiosa! D'ora innanzi, ancorche cadessi dal tetto, non ne farei caso!" (E probabilmente dicea la verita.) E giu--e giu--e giu! Finira _mai_ quella caduta? "Chi sa quante miglia ho percorse a quest'ora?" sclamo. "Davvero io sto per toccare il centro della terra. Vediamo: suppongo che saranno quattrocento miglia di profondita--" (come vedete, Alice aveva imparate molte di tali cose nelle sue lezioni, ma non era quella la _migliore_ occasione per fare sfoggio della sua erudizione, poiche non c'era niuno che l'ascoltasse, cio non di meno era bene di ripassarle a mente)--"si, la sara questa la vera distanza, o press'a poco--ma vorrei sapere a quale grado di Latitudine o di Longitudine io sia giunta!" (Alice non sapea mica che fosse Longitudine o Latitudine, ma penso ch'erano belle parolone a dire, e le disse!) Passo qualche istante e poi rincomincio. "Che dovessi io _traversare_ la terra? Sarebbe bella s'io uscissi fra le genti che camminano col capo in giu! Credo che si chiamino le Antipatie--" (questa volta fu contenta che non _ci fosse_ niuno che l'ascoltasse, perche quel nome non le suonava giusto all'orecchio) "--ma domandero loro che nome abbia quel paese. Di grazia, Signora, e questa la Nuova Zelanda? o l'Australia?" (e cerco di fare una riverenza mentre parlava--figuratevi, _far riverenza_ mentre si casca giu a precipizio! Dite, potreste farla voi?) "Ma se faro una tale domanda mi crederanno una sciocca. No, non la faro: forse trovero scritto il nome in qualche parte colaggiu." E giu--e giu--e giu! Non avendo nulla da fare, Alice rincomincio a cinguettare. "Dina mi cerchera stanotte!" (Dina era il nome della gatta). "Spero che si rammenteranno di darle il suo piattino di latte quando prenderanno il te. Cara Dina mia! Vorrei che tu fossi meco quaggiu! Non vi son sorci nell'aria, ma sai, tu potresti afferrare una nottola ch'e simile al sorcio. Ma che! i gatti mangiano le nottole?" E qui Alice comincio a sonniferare, e fra il sonno e la veglia continuo a ruminare fra' denti, "I gatti mangiano le nottole? I gatti mangiano le nottole?" E talvolta, "Le nottole mangiano i gatti?" perche, vedete, non potendo rispondere a nessuna delle due quistioni, non le importava se invertiva il senso di esse. Sonnecchiava di gia, e proprio allora cominciava a sognare che se ne andava a braccetto con Dina e che le diceva con faccia austera: "Dina, dimmi la verita: hai tu mai mangiata una nottola?" quando, tonfete! casco d'un subito sopra un mucchio di ramicelli e di foglie secche, e la caduta fini. Alice non si fece male e salto in piedi lesta e pronta: guardo in alto, era bujo affatto: davanti a lei sfilava un lungo corridoio percorso dal Coniglio bianco ch'era sempre in vista. Non c'era tempo da perdere: Alice, come se avesse le ali, gli corse appresso, e senti che sclamava, mentre svoltava a una cantonata,--"Giurammio! gli e tardi davvero!" Stava li li per raggiungerlo, ma appena passo la cantonata il Coniglio non si vide piu; ed ella si trovo in una sala lunga e bassa, illuminata da una fila di lampade che pendevano dalla volta. V'erano porte tutt'intorno alla sala, ma erano tutte serrate, e dopo che Alice ando su e giu provando tutti gli usci per vedere se fosse possibile d'aprirne qualcheduno ma sempre inutilmente, si mise a camminar mestamente nel mezzo della sala, pensando come mai avrebbe potuto riuscirne fuori. [Illustrazione] Tutt'a un tratto capito vicina a un piccolo tavolino di cristallo solido e sorretto da tre piedi: non c'era altro su d'esso che una chiavettina d'oro: or la prima idea ch'ebbe Alice fu che quella potesse aprire uno degli usci della sala; e provo--ma oime! o le toppe erano troppo grandi, o la chiavettina era troppo piccola; ma comunque fosse, non potette aprirne alcuno. Cio non di meno, avendo fatto un secondo giro nella sala, capito davanti a una cortina bassa che non aveva osservata prima, e dietro ad essa v'era un piccolo uscio, alto quindici pollici o giu di li: provo la chiavettina d'oro se andasse alla toppa, e con molta allegrezza vide che c'entrava per l'appuntino! Alice apri l'uscio e vide che dava a un piccolo corridoio, largo quanto una buca da topi: s'inginocchio, e vide al di la del corridoio il piu bel giardino del mondo. Oh! quanto desidero d'uscir fuori da quella sala buja per correre su que' prati di fiori risplendenti, e lungo le chiare e fresche acque delle fontane, ma non l'era dato neppure di cacciare il capo fuori della buca; "e ancorche il mio capo potesse passarvi," penso la povera Alice, "mi servirebbe poco senza farci passare anche le spalle. Oh quanto bramerei riserrarmi come un telescopio! Credo che potrei farlo, se sapessi soltanto come cominciare." Poiche essendo ultimamente accadute tante cose straordinarie, Alice avea cominciato a persuadersi che poche fossero le cose veramente impossibili. [Illustrazione] Era proprio tempo perso star li piantata davanti all'usciolino, percio Alice ritorno verso la tavola con una mezza speranza di potervi trovare sopra un'altra chiave, o almeno un libro il quale insegnasse alla gente a riserrarsi come un cannocchiale: questa volta vi trovo un'ampolla, ("e certo non c'era prima," disse Alice,) e aveva attaccato al collo un cartello sul quale a lettere di scatola era magnificamente scritta questa parola "BEVI." Va benissimo il dire "Bevi," ma Alice ch'era una ragazzina prudente, li per li non volle bere. "No, voglio prima vedere se c'e scritto '_veleno_;'" poiche ella aveva letto molte belle novellette sopra ragazzi ch'erano stati abbruciati, e mangiati vivi da bestie feroci, e cose simiglianti, e tutto cio perche non _vollero_ ricordarsi della prudenza ch'era stata loro insegnata in casi simili; come per esempio, non maneggiare le molle infocate perche scottano; se col coltello ti fai sul dito un taglio _molto_ profondo, certo n'uscira sangue; ed ella non avea dimenticato quell'altro avvertimento, se tu bevi smodatamente d'una bottiglia che ha l'iscrizione "veleno," presto o tardi ti fara male. Cio non di meno quell'ampolla _non_ aveva l'iscrizione "veleno," percio Alice si avventuro di assaggiarne il contenuto, e trovandolo delizioso (di fatto aveva un sapore misto di torta di ciliegie, di crema, d'ananasso, di tacchino arrosto, di torrone, e di crostini burrati), lo vuoto tutto d'un fiato. * * * * * "Che curiosa sensazione!" disse Alice: "mi vo ristringendo come un cannocchiale!" Ed era proprio cosi: non aveva piu che dieci pollici d'altezza, e il suo bel visino s'illumino di gioja pensando che finalmente era giunta alla giusta statura per traversare l'usciolino, ed entrare nel bel giardino. Prima aspetto qualche minuto per vedere se rimpicciolisse di piu; e vero che provo una certa ansieta su quel mutamento; "perche, sapete, potrei rimpicciolirmi tanto da sparire affatto come una candela," disse Alice. "A chi assomiglierei allora?" E cerco di farsi un'idea dell'apparenza della fiamma d'una candela smorzata, poiche non potea nemmeno ricordarsi se mai avesse veduta una cosa simile! E scorsero alcuni momenti, e veggendo che nulla di nuovo le accadeva, si accinse ad entrare nel giardino; ma--povera Alice!--quando fu all'uscio, si accorse che avea dimenticata la chiavettina d'oro, e quando si rivolse verso la tavola dove l'avea lasciata, vide che non potea piu arrivarla: essa la vedea chiaramente a traverso del cristallo, e fece ogni sforzo possibile per arrampicarsi ad uno de' piedi della tavola e montar su, ma gli era troppo sdrucciolevole; e dopo essersi affaticata invano per vincere quella difficolta, la poverina si sedette e pianse. "Via! che vale abbandonarsi al pianto!" disse Alice a se stessa; "io ti consiglio invece, o Signorina, di smetter subito quel piagnucolare!" Generalmente ella dava a se stessa dei buoni consigli (benche raramente poi li seguisse), e talvolta si rimproverava tanto severamente che le lagrime le scorrevano per le gote; e si rammento che una volta stava li li per schiaffeggiarsi perche s'era truffata in una partita di _croquet_ che giuocava contro a se medesima, che questa straordinaria bimba trovava piacere a fingersi di essere due persone. "Ma ora e inutile voler credermi due persone," penso la povera Alice, "me ne resta appena tanto per comporne _una_!". Ed ecco, le cadde sott'occhio una cassettina di cristallo che giaceva sotto la tavola: l'apri, e vi trovo dentro un piccolo pasticcino, sul quale, con uva di Corinto, era scritto in belli caratteri "MANGIA." "Bene! lo mangero," disse Alice, "e se mi fara crescere di molto, giungero ad afferrare la chiavettina, e se mi fara rimpicciolire mi striscero sotto l'uscio: cosi in un modo o in un altro entrero nel giardino, e poi, sara quel che sara!" Ne mangio un bocconcino, e mettendosi la mano sul capo, sclamo ansiosamente: "In qual modo? In qual modo?" per vedere in qual modo si mutava, ma resto molto sorpresa nel vedersi della stessa statura: certo, cosi accade a tutti coloro che mangiano pasticci, ma Alice s'era tanto abituata a veder cose straordinarie, che le sembrava una cosa stupida e sciocca quella di crescere, come si cresce generalmente. E torno alla bisogna, e in pochi istanti ingoio tutto il pasticcio. [Illustrazione] CAPITOLO II. LO STAGNO DI LAGRIME. "Curiosissimo e sempre piu curiosissimo!" grido Alice (era tanta la sua sorpresa che non sapeva piu parlar correttamente la sua lingua); "mi sto allungando come un cannocchiale, e il piu lungo che mai vi sia stato! Addio piedi!" (perche appena guardo giu a' suoi piedi le sembro che li avesse quasi perduti di vista, tanto erano lontani). "Oh i miei poveri piedini! chi mai in terra v'infilera le calze, e vi mettera le scarpettine? Davvero _io_ non potro farlo piu! Oramai saro tanto lungi da voi, che certo io non mi prendero piu briga di voi altri: bisogna che vi accomodiate alla meglio;--eppure bisognerebbe ch'io li trattassi bene," penso Alice, "se no, non vorranno andare per la via ch'io vorrei battere! Vediamo un po': ogni anno a Natale daro loro un bel pajo di stivaletti." E andava mulinando col cervello come farebbe. "Glieli mandero col procaccino," penso la bimba; "ma gli e davvero strano il mandar regali a' proprii piedi! E quanto sara curioso l'indirizzo! _Al Signor Piedestro d'Alice,_ _Tappeto,_ _Presso il parafuoco,_ (_coi saluti d'Alice_). Meschina! quante sciocchezze vo dicendo!" Giusto allora il suo capo urto contro la volta della sala: aveva piu di nove piedi d'altezza! Subito adunghio la chiavettina d'oro, e via, verso l'uscio del giardino. Povera Alice! Tutto quello che potea fare consisteva nel giacere, appoggiando il fianco per guardare il giardino con la coda d'un occhio; ma il penetrarvi dentro era diventato piu difficile che mai: sedette dunque, e si rimise a piangere. "Ti dovresti vergognare," disse Alice, "figurati, una gran ragazzona come te" (e davvero lo poteva dire allora) "fare la piagnolosa! Smetti subito ti dico!" Ma pure continuo, versando lagrime a secchie, sinche formo uno stagno intorno a lei di quasi quattro pollici d'altezza, e che giungeva a meta della sala. Qualche istante dopo senti in lontananza come uno scalpiccio; subito si forbi gli occhi per vedere chi fosse. Era il Coniglio bianco che ritornava, splendidamente vestito, con un pajo di guanti bianchi in una mano, e un gran ventaglio nell'altra: veniva trottando frettolosamente, e mormorando fra se stesso, "Oh! la Duchessa, la Duchessa! Se n'andra sulle furie perche l'ho fatta aspettare!" Alice era tanto fuori di se che avrebbe chiesto soccorso a chiunque le fosse capitato: cosi quando il Coniglio le fu vicino, gli disse con voce tremula e sommessa, "Di grazia, Signore----." Il Coniglio trasalto, gli caddero a terra i guanti e il ventaglio, e in mezzo a quella tenebria si mise a correre di traverso come se avesse le ali alle zampe. [Illustrazione] Alice raccatto il ventaglio e i guanti, e perche la sala pareva una stufaiuola si rinfresco sventolandosi e parlando fra se: "Meschina me! Come ogni cosa e strana quest'oggi! Eppure ieri le cose andavano secondo il solito. Non mi sorprenderebbe se stanotte fossi stata scambiata! Vediamo: non ero io, io stessa che mi levai questa mattina? Mi pare di rammentarmi ch'io mi trovai un poco diversa. Ma se non sono la stessa dovro rivolgermi questa domanda: Chi mai dunque son io? Ah! qui _sta_ l'imbroglio!" E ripenso a tutte le ragazze che conosceva, e che erano dell'eta sua, per vedere se per caso fosse stata trasformata in una di quelle. "Certo io non sono Ada," disse, "perche i suoi capelli sono inanellati, e i miei non lo sono punto; certo non sono Isabella, poiche io so tante belle cose, e quella poverina sa tanto poco! Eppoi _Isabella_ e Isabella, ed _io_ sono io. Meschina! che imbroglio e questo! Proviamo se io mi rammento tutte le cose che sapeva una volta: quattro volte cinque fanno dodici, e quattro volte sei fanno tredici, e quattro volte sette fanno--oime! Se vado di questo passo non giungero mai a venti! Del resto la Tavola Aritmetica non significa nulla: proviamo la Geografia: Londra e la capitale di Parigi, e Parigi e la capitale di Roma, e Roma----, no, ho sbagliato _tutto_! Davvero devo essere stata trasformata in Isabella! Provero a ripetere '_Rondinella pellegrina_;'" e si mise le mani conserte al petto come se stesse per ripetere le lezioni, e comincio a recitare quella Romanza, ma la sua voce suonava rauca e strana, e le parole non le uscivano dalle labbra come una volta:-- "'_Rondinella porporina Che ti posi sul loggione Raccattando ogni mattina La zanzara ed il moscone, Li vuoi friggere in padella Porporina Rondinella?_'" "Scommetto che le vere parole della Romanza non son queste," disse la povera Alice, e le ritornarono i lucciconi agli occhi. "In somma," continuo a dire,-"io devo essere Isabella, e dovro andare a vivere in quella casuccia, e non aver quasi piu giuocattoli, e tante lezioni da imparare! Ma se sono Isabella, caschi pure il mondo, io restero qui! Inutilmente, signori miei, caccerete la testa dal soffitto per dirmi 'Carina, vieni su!' Io alzero soltanto gli occhi, e diro loro, 'Chi son io? Ditemelo prima, e se saro quella che voi cercate, verro su; se no restero qui inchiodata sino a che saro qualchedun'altra'--ma, oime!" sclamo Alice, versando un fiume di lagrime. "Vorrei che _mettessero_ fuori la testa! Son _tanto_ stanca d'esser qui, sola!" E si guardo le mani, e si meraviglio vedendo che mentre parlava fra se stessa aveva infilato uno de' guanti bianchi che il Coniglio avea lasciati cadere. "Come mai ho _potuto_ far cio?" disse. "Forse sono ridiventata piccina." Si levo ed avvicinossi alla tavola per misurarsi con quella,--osservo che, per quanto le pareva, era ridotta a circa due piedi d'altezza e che andava impiccolendosi rapidamente: indovino che la causa di questa nuova trasformazione era il ventaglio che aveva in mano, e subito lo butto a terra,--e fu proprio a tempo, altrimenti assottigliava tanto da sparire totalmente. "L'ho scampata bella!" disse Alice tutta impaurita da quel subitaneo mutamento, ma lieta, pero perche esisteva ancora; "ed ora andiamo al giardino!" e rivolse sollecitamente i passi verso l'usciolino; ma ahi! l'usciolino era chiuso, e la chiavettina d'oro era sulla tavola come prima; "le cose vanno proprio alla peggio" penso la derelitta fanciulla, "non sono stata mai tanto piccina! E protesto che tutto cio e un brutto affare, ma brutto assai!" Mentre diceva queste parole, sdrucciolo, e zaffete! casco sino al mento nell'acqua salsa. Imprima credette esser caduta nel mare, "e in tal caso potro tornare a casa per la ferrovia," disse fra se. (Alice era stata una volta sola ai bagni di mare, d'allora in poi s'imagino che dovunque si va, verso la spiaggia, trovansi casotti da bagni lungo il mare, ragazzi che zappano l'arena con le vanghe di legno, poi una fila di case mobiliate, e dietro ad esse una stazione di strada ferrata). Ma subito si accorse ch'era caduta nello stagno delle lagrime che avea versate quando aveva nove piedi d'altezza. [Illustrazione] "Peccato ch'io abbia pianto tanto!" disse Alice, nuotando, e cercando d'afferrar la riva. "Ora si che saro punita, affogando nelle mie proprie lagrime! _La_ sara proprio una cosa strana! Ma tutto e strano oggi." E senti qualche cosa che sguazzava nello stagno, si rivolse e credette vedere un elefante di mare o un ippopotamo, ma si rammento ch'era assai piccina allora, e scopri ch'altro non era che un sorcio, cascato come lei nello stagno. Penso Alice, "Forse farei bene di parlare a questo sorcio. Ogni cosa e talmente straordinaria quaggiu che non mi stupirei se egli potesse parlare: ad ogni modo, proviamo." E comincio: "O Sorcio, sai tu la via per uscire da questo stagno? O Sorcio, io mi sento veramente stanca di nuotare qui!" (Alice penso che quello era il vero modo di parlare ad un sorcio: non aveva mai fatto una cosa simile prima, ma si rammento d'aver letto nella Grammatica Latina di suo fratello, "Un Sorcio--di un Sorcio--a un Sorcio--un Sorcio--O Sorcio!") Il Sorcio la guardo fissamente, la squadro ben bene co' suoi piccoli occhietti, ma non rispose niente. "Forse non intende la mia lingua," disse Alice; "scommetto ch'e un Sorcio Francese, venuto qui con Napoleone." (Eh gia! con tutte le sue cognizioni storiche, Alice non sapea al giusto le date che citava.) E rincomincio "_Ou est ma chatte?_" era questa la prima frase ch'avea trovata nel suo libriccino di Lingua Francese. Il Sorcio fece un salto nell'acqua, e tremo a verghe. "Le domando perdono!" soggiunse subito Alice, avvedendosi d'avere scossi i nervi delicati della bestiolina. "Avea dimenticato che lei non ama i gatti." "Amare i gatti, io!" sclamo con voce acuta e rabbiosa. "Amerebbe _lei_ i gatti, se fosse me?" "Forse no," rispose Alice con voce carezzevole, "ma non si adiri, sa! Eppure io vorrei farle vedere Dina, la gatta nostra; se la vedesse ne sarebbe innamorato pazzo. La e una bestiolina tanto carina e quietina," e nuotando svogliatamente e parlando talvolta a se stessa, continuava Alice, "e fa le fusa per benino quando giace accoccolata presso al focolare, leccandosi le zampine e nettandosi la faccia--e l'e tanto soffice e soave alle carezze--e l'e proprio un paladino nell'afferrare i sorci--oh mi perdoni!" sclamo di nuovo Alice perche questa volta il Sorcio aveva il pelo tutto arruffato, e sembrava offeso immensamente, "Noi non ne parleremo piu se cio le incresce." [Illustrazione] "No, davvero!" grido il Sorcio che avea la tremarella sino alla punta della coda. "Come se _io_ volessi parlare dei gatti! La nostra famiglia _odio_ sempre i gatti; bestiaccie schifose, volgari e basse! Non mi faccia sentir piu il nome loro!" "No, davvero!" rispose sollecitamente Alice, e mutando argomento, soggiunse. "Dica, le piacciono forse--le piacciono--i--i cani?" Il Sorcio non rispose, e Alice seguito cosi. "Vicino a casa nostra, c'e un bellissimo cagnolino, se lo vedesse! E un canbassetto con certi belli occhi luccicanti, e col pelo cenerino, arricciato e lungo! Ei busca, benissimo le cose che gli si gittano, e siede sulle zampine di dietro per pitoccare il suo desinaruccio, e fa tante altre belle cosettine--non potrei neppure rammentarne la meta--appartiene a un fattore, ed egli dice che la bestiolina vale proprio un Peru, perche gli e utile di molto, e uccide tutt'i topi, e--oime!" grido Alice tutta sconsolata. "Temo d'averla offesa di nuovo!" E davvero l'aveva offeso perche il Sorcio si allontano nuotando furiosamente ed agitando le acque dello stagno. Alice lo richiamo con un soave tuono di voce, "Sorcio caro, ritorni pure, ed io le prometto che non parlero piu di gatti ne di cani!" A queste parole, il Sorcio si rivolto indietro, nuotando lentamente verso di lei: la sua faccia era pallida (di rabbia, penso Alice), e disse con voce sommessa e tremante, "Approdiamo alla spiaggia, e le raccontero la mia storia, allora lei capira perche io detesti tanto i gatti e i cani." Era proprio tempo d'uscir fuori, perche lo stagno si stava riempendo di uccelli e d'altri animali che v'eran caduti dentro: un'Anitra, un Dronte, un Lori, un Aquilotto, ed altre curiose bestioline. Alice apri la via, e tutti, nuotando, la seguirono alla spiaggia. [Illustrazione] CAPITOLO III. CORSA ARRUFFATA, E RACCONTO CON LA CODA. L'assemblea che si riuni alla spiaggia era oltremodo bizzarra--figuratevi, gli uccelli avevano le piume fradice, e gli altri animali avevano il pelo incollato a' loro corpicciuoli; e tutti erano inzuppati, grondanti acqua, tristi e malcontenti. Naturalmente la prima quistione che fu posta fu quella di sapere come si sarebbero asciugati: si consultarono insieme su questo argomento, e pochi minuti dopo Alice si mise a parlare familiarmente con loro, come se li avesse conosciuti da un secolo. Ebbe una lunga discussione col Lori, ma bentosto quest'ultimo le fece un viso arcigno, e disse perentoriamente, "Son piu vecchio di lei, percio devo saper piu di lei;" ma Alice non volle convenirne se prima non le avesse detto quanti anni aveva. Il Lori non volle dirlo, e la loro conversazione cesso. Finalmente il Sorcio, che sembrava essere persona d'una certa autorita fra loro, grido, "Si seggano signori, e mi ascoltino! _Io_ secchero tutti in pochi momenti!" Tutti sedettero, in circolo, col Sorcio in mezzo. Alice gli affiso ansiosamente gli occhi in faccia, perche era sicura che se non si fosse presto rasciugata avrebbe guadagnata una infreddatura solenne. "Hem!" disse il Sorcio con aria autorevole, "sono tutti all'ordine? Questa domanda e bastantemente secca, mi pare! Silenzio tutti, di grazia! 'Il Generale Oudinot che venne a restaurare il governo papale, fu presto secondato dal Re di Napoli, e dalle truppe della Regina di Spagna----'" "Uff!" fece il Lori, con un brivido. "Scusi!" disse il Sorcio tutto accigliato, ma con molta civilta: "Diceva qualche cosa?" "Le pare!" rispose frettolosamente il Lori. "Mi era parso di si," soggiunse il Sorcio.--"Continuo dunque. 'Il Re di Napoli e la Regina di Spagna, con Oudinot, sposarono la causa del Papa, ed anche il Granduca di Toscana trovo la cosa----'" "Trovo _che cosa_?" disse l'Anitra. "Trovo _la cosa_," replico vivamente il Sorcio: "ella sa che significa 'la cosa.'" "So bene che significa '_la cosa_' quando _io_ trovo qualche cosa," rispose l'Anitra: "generalmente trovo un ranocchio o un verme. Or la quistione sta 'nella cosa,' che cosa ha trovato il Granduca?" Il Sorcio non gli bado punto e si affretto d'andare innanzi, "--trovo la cosa ben fatta cioe di unirsi ad Oudinot, al Re di Napoli ed alla Regina di Spagna, per assistere il Papa e rimetterlo sul trono. Nel principio il Papa uso moderazione ma la violenza dei suoi consiglieri----' Ebbene, carina, come si sente ora?" disse, rivolgendosi ad Alice. "Bagnata come un pulcino," rispose Alice mestamente, "non mi pare che la sua storiella mi secchi abbastanza." "Allora," disse il Dronte con voce solenne, e levandosi in piedi, "propongo che il parlamento si aggiorni, accioche sieno adottati rimedii piu energici----" "Ma parli italiano!" sclamo l'Aquilotto. "Non capisco la meta delle sue parolone, e forse lei stesso non ne intende cica!" E l'Aquilotto abbasso la testa per nascondere un sorriso, ma alcuni degli uccelli sghignazzarono apertamente. "Volevo dire," continuo il Dronte, facendo il broncio, "che il miglior modo di seccarsi sarebbe quello di fare una Corsa arruffata." "Che _e_ la Corsa arruffata?" domando Alice; non le premeva molto di saperlo, ma il Dronte taceva come se _qualcheduno_ dovesse parlare, mentre niuno sembrava disposto ad aprire becco o bocca. "Ecco," disse il Dronte, "il miglior modo di spiegarla e quello di eseguirla." (E siccome vi potrebbe venire la voglia di provare questa Corsa in qualche giorno d'inverno, vi diro come il Dronte la diresse.) Imprima traccio la linea dello steccato, una specie di circolo ("gia, non importa che sia ben tracciata," disse), e poi tutta la comitiva entro nello steccato mettendosi chi qua, chi la. Non si udi "Uno, due, tre,--via!" ma cominciarono a correre a piacere, e si fermarono quando n'ebbero voglia, di tal che non si seppe quando la Corsa fosse terminata. Ad ogni modo, dopo che ebbero corso una mezz'ora o quasi, e si sentirono tutti ben seccati, il Dronte sclamo tutt'a un tratto, "La corsa e finita!" e tutti l'intorniarono anelanti, e sclamando, "Ma chi ha vinto?" Questa domanda impensieri immensamente il Dronte, percio sedette e resto lungo tempo con un dito appoggiato alla fronte (tale e quale come e rappresentato Dante), mentre gli altri zittivano. Finalmente il Dronte disse, "_Tuttiquanti_ hanno vinto, e tutti debbon'essere premiati." "Ma chi distribuira i premii?" replico un coro di voci. "_Essa_, s'intende," disse il Dronte, indicando Alice con un dito; e tutti si affollarono intorno a lei, gridando confusamente, "I premii! I premii!" Alice non sapea che fare, e nella disperazione caccio la mano in tasca, e ne cavo una scatola di confetti (per buona sorte l'acqua non v'era entrata dentro), e ne distribui tutt'intorno. Ce ne erano appunto uno per uno. "Ma essa dovrebbe avere un premio," disse il Sorcio. "S'intende," soggiunse il Dronte assai gravemente. "Che altro ha in saccoccia?" disse, rivolgendosi ad Alice. "Soltanto un ditale," rispose mestamente la fanciulla. "Dia qui," replico il Dronte. [Illustrazione] E tutti l'accerchiarono di nuovo, mentre il Dronte con molta gravita le offri il ditale, e disse, "La preghiamo di accettare quest'elegante ditale;" e appena finito questo breve discorso, tutti applaudirono. Alice giudico tutto quest'affare come una cosa sovranamente stupida, ma avevano tutti un contegno talmente grave ch'ella non oso ridere, pure non seppe che cosa rispondere, ma semplicemente s'inchino e prese il ditale assumendo la migliore serieta del mondo. Rimaneva ora il mangiare i confetti; cio produsse un po' di rumore e di confusione, poiche gli uccelli grandi si lagnavano che non avean potuto assaporarne il gusto, e gli uccelli piccoli avendoli inghiottiti ne rimasero pressoche strozzati e si dovette loro picchiar la schiena. Ma anche cio ebbe un termine e sedettero in circolo, pregando il Sorcio di dir loro qualcosuccia di piu. "Si rammenti che mi ha promesso di raccontarmi la sua storia," disse Alice, "e la ragione per cui odia i 'G' e i 'C'" soggiunse sommessamente, e un poco con paura che di nuovo si offendesse. "La mia e una storia lunga e trista, e con la coda!" rispose il Sorcio, rivolgendosi con un sospiro ad Alice. "Certo _e_ una lunga coda," disse Alice, guardando con meraviglia alla coda del Sorcio; "ma perche la chiama trista?" E continuo a pensarvi sopra imbarazzata mentre il Sorcio parlava; e cosi l'idea che si fece di quella storia con la coda fu presso a poco questa: Furietta disse al Sorcio, che in casa avea trovato: Andiamo al Tribunale, ti voglio processare. Non chiedo le tue scuse, o Sorcio indiavolato, Quest'oggi non ho nulla a casa mia da fare.-- Disse a Furietta il Sorcio: Ma come andremo in Corte? Senza giuri ne giudici? Sarebbe una vendetta! Saro giuri e giudice, rispose allor Furietta, E passero latrando, La tua sentenza a morte. "Ella non presta attenzione!" disse il Sorcio ad Alice con tuono severo. "A che cosa sta pensando?" "Le domando scusa," rispose umilmente Alice: "ella e giunta alla quinta curvatura della coda, non e vero?" "_No, doh!_" riprese il Sorcio con voce acerba ed irata. "Che! c'e un _nodo_?" sclamo Alice sempre pronta e servizievole, e guardandosi attorno. "Mi conceda il favore di disfarlo!" "Niente affatto," rispose il Sorcio, levandosi e in atto di partire. "Lei m'insulta dicendomi tali scempiaggini!" "No, davvero!" disse Alice con sottomissione. "Ma lei s'offende tanto facilmente!" Per tutta riposta il Sorcio si mise a borbottare. "Di grazia, ritorni, e finisca il suo racconto!" Alice dunque lo richiamo; e tutti gli altri sclamarono in coro, "Via, finisca il racconto!" ma il Sorcio crollo il capo con un moto d'impazienza, ed affretto il passo. "Peccato che non sia restato!" disse sospirando il Lori, appena che il Sorcio si perde di vista; e un vecchio granchio colse quella opportunita per dire alla sua figlia, "Amore mio, cio ti serva di lezione, e _bada_ a non andar mai in collera!" "Sta zitto, Babbo," rispose la piccina con un fare sdegnosetto. "Tu provocheresti anche la pazienza d'un'ostrica!" "Ah se Dina fosse qui!" disse Alice, parlando ad alta voce, ma senza rivolgersi a chi che sia. "Lo porterebbe indietro in un momento!" "Perdoni la curiosita, chi e Dina?" domando il Lori. Alice rispose sollecitamente, perche la era sempre pronta a parlare della sua prediletta: "Dina e la nostra gatta. E un vero paladino quando va a caccia di sorci! E se la vedeste correr dietro agli uccelli! Visti e presi!" Questo discorso produsse un impressione vivissima nell'assemblea. Alcuni uccelli volarono via di botto: una gazza vecchia si avviluppo ben bene dicendo, "E ormai tempo di tornare a casa; l'aria della notte mi fa male alla gola!" e un canarino chiamo con voce tremula tutt'i suoi piccini, "Venite, venite carini! Gli e tempo di andare a letto!" E cosi chi con un pretesto chi con un altro, tutti andarono via, ed Alice rimase sola. "Ho fatto male di nominare Dina!" disse fra se assai mestamente. "Ei pare che niuno l'ami quaggiu, eppure la e la miglior gatta del mondo! Oh Dina mia cara! Chi sa, se ti rivedro mai piu!" E la povera Alice rincomincio a piangere perche si sentiva tutta soletta e sconsolata. Ma alcuni momenti dopo, senti di nuovo uno scalpiccio in lontananza, e guardo fissamente, nella speranza che il Sorcio avesse mutato pensiero, e tornasse per finire il suo racconto. CAPITOLO IV. LA CASETTINA DEL CONIGLIO. Era il Coniglio bianco che ritornava bel bello indietro, guardando ansiosamente qua e la, come che avesse smarrito qualche cosa, e mormorando fra se stesso: "Oh la Duchessa! la Duchessa! Oh zampine mie! pelle e baffi miei state freschi ora! Ella mi fara impiccare, e ne son tanto sicuro come son certo che le donnole sono donnole! Ma dove mai mi son caduti?" Alice indovino subito ch'egli andava ricercando il ventaglio e il paio di guanti bianchi, e buona e servizievole com'era, si dette attorno per ritrovarli, ma fu inutile, non si trovarono piu--ogni cosa sembrava mutata dal momento ch'era cascata nello stagno; e la gran sala, e il tavolino di cristallo, e l'usciolino erano svaniti totalmente. Bentosto il Coniglio si accorse di Alice, mentr'ella si affannava alla ricerca, e grido con voce irata, "Marianna che cosa _stai_ facendo qui? Via corri a casa, e portami un paio di guanti ed un ventaglio! Subito, ti dico!" Alice fu tanto spaventata da quella voce che senza perder tempo corse velocemente verso il luogo indicato, senza dir nulla sullo sbaglio che il Coniglio faceva. "Mi ha presa per la cameriera," disse fra se mentre continuava a correre. "Ei sara molto sorpreso quando scoprira chi io sia! Ma e meglio recargli il ventaglio e i guanti, cioe, purche io li possa trovare." E giunse innanzi a una bella casettina, e sull'uscio v'era un cartello inciso sopra una rilucente lamina di ottone, con questo nome "CONIGLIO B." Entro, senza picchiare all'uscio, e frettolosamente divoro tutta la scala temendo d'incontrare la vera Marianna, ed esser da lei cacciata via dalla casa prima di trovare il ventaglio e i guanti. "Gli e proprio curioso," penso Alice, "d'esser mandata da un Coniglio a far servizi! Mi aspetto che Dina vorra poi mandarmi a far servizi per lei!" E comincio a fantasticare cio che in tal caso avverrebbe: "'Siora Alice! Venga qui subito, e si prepari a trottare!' 'Eccomi qui, tata! Ma dovrei far la guardia a questo buco sinche Dina venga, acciocche il sorcio non ne scappi.' Pero non crederei," continuo Alice, "che permetterebbero a Dina di restare in casa se essa cominciasse a comandare la gente a questo modo!" E cosi ciarlando entro in una cameretta assai pulitina, con una tavola presso al terrazzino, e sopra di essa v'erano (come Alice avea di gia sperato) un ventaglio e due o tre paja di guanti bianchi e nitidi; ella prese il ventaglio ed un pajo di guanti, e stava per uscire, quando le cadde sott'occhio un'ampolla che stava vicino allo specchio. Non avea nessun cartello attaccato, con la parola "BEVI," eppure essa la sturo e se l'avvicino alle labbra. "Certo _qualche cosa_ di meraviglioso mi accade ogni qual volta bevo o mangio," disse fra se; "vediamo dunque che cosa produrra questo liquore. Spero che mi fara crescere di nuovo, perche sono proprio stanca di vedermi cosi piccina!" E cosi accadde, e molto piu presto di quello che si aspettasse: pria che avesse bevuto la meta dell'ampolla senti che il suo capo premeva contro la volta, e dovette smetter subito, perche rischiava di rompersi la nuca. Immediatamente depose l'ampolla, dicendo, "Basta per ora--spero che non crescero di piu--ma cosi come sono non potro uscire piu dall'uscio--ah! magari, avessi bevuto meno!" Oime! era tardi il pentirsi! Ando crescendo, crescendo, e dovette inginocchiarsi, perche non poteva piu stare in piedi; e dopo un altro minuto, dovette sdraiarsi appoggiando un gomito all'uscio, e mettendo un braccio intorno al capo. E cresceva ancora; disperata, caccio una mano fuori della finestra, ficco un piede nel caminetto, e disse a se medesima, "Checche accada, non posso far di piu. Che _sara_ di me?" [Illustrazione] Buono per Alice che la virtu dell'ampolla magica era giunta al suo apice, e percio non crebbe di piu: cio non di meno si sentiva molto male in quello stato, e come che non c'era verso d'uscire da quella gabbia, se ne attristo di molto. "Stava molto meglio a casa mia," penso la povera Alice, "cola non passava il mio tempo a crescere ed a impiccolire, e ad esser la serva de' sorci e de' conigli. Quasi quasi mi pento d'esser discesa nella Conigliera--eppure--eppure--l'e curiosetto questo genere di vita! Ma, che _cosa_ mai son'io addiventata? Quando io leggeva le novelle delle fate, credeva che quella sorta di stranezze non potesse mai accadere, ed ora eccomi nel bel mezzo di una di quelle. Si dovrebbe scrivere un libro su queste mie avventure, si dovrebbe, certo! Quando saro grande ne scrivero uno--ma sono di gia grande," soggiunse con mestizia, "e non c'e spazio per crescere di piu _qui_." "Ma che," penso Alice, "non crescero piu negli anni? Da una parte sarebbe un bene--non diventare mai vecchia,--ma quell'imparar sempre le lezioni m'annoierebbe! Oh non mi piacerebbe _cio_!" "Ah pazzerella che sei!" rispose Alice a se stessa. "Come potresti imparare le lezioni, qui? C'e appena spazio per te, come c'entrerebbero i libri?" E cosi passava il tempo, ora parlando, ora rispondendo a se stessa, e facendo una vera conversazione fra Alice ed Alice; ma dopo qualche istante senti una voce di fuori, e si mise ad ascoltare. "Marianna! Marianna!" vociava quel tale di fuori; "portami subito i guanti!" E si senti un calpestio frettoloso per la scala. Alice penso che fosse il Coniglio che veniva a sollecitarla a far presto, e tremo tanto da scuoter la casa dalle fondamenta, scordandosi ch'oramai era diventata mille volte piu grande del Coniglio, e che non c'era motivo da spiritar di paura. Il Coniglio giunse all'uscio, e cerco di aprirlo, ma gli era inutile spingere la porta, perche il gomito d'Alice era puntellato contro. Alice udi che il Coniglio diceva fra se, "Andro dietro la casa ed entrero per la finestra." "Non ci entrerai!" penso Alice, ed attese sino a che le parve che il Coniglio fosse sotto la finestra; allora apri d'un subito la mano come se volesse acchiappare qualche cosa nell'aria. Non afferro nulla, ma senti uno strillo e il rumore d'una caduta, poi un fracasso di vetri rotti, e capi che il poverino era probabilmente cascato in qualche vetrina da cetrioli o cosa simile. [Illustrazione] Poi s'udi una voce rabbiosa--quella del Coniglio:--"Gianni! Gianni! Dove sei?" E rispose una voce ch'ella non avea mai sentita, "Eccomi qua! Stava scavando patate, illustrissimo!" "Scavando patate!" tuono furiosamente il Coniglio. "Vieni qua! Aiutami per uscire da _questo_!..." (Cricch! si senti scricchiare il vetro). "Dimmi Gianni, che mostruosita c'e lassu, alla finestra?" "Poffare! gli e un braccio, lustrissimo!" "Un braccio! va via paperone! Chi ne ha mai veduti di quella grossezza? Diamine, riempie tutta la finestra!" "Gli e proprio cosi, lustrissimo: ma e un braccio bell'e buono." "Bene, ma ei non ha niente da fare con la mia finestra; va, portalo via!" Successe un lungo silenzio, poi Alice senti un bisbiglio sommesso; e parole come queste, "Davvero, non potrei, lustrissimo; no, davvero!" "Fa come ti dico, vigliaccone!" allora Alice di nuovo fendette l'aria con la mano minacciando d'acchiappare. Questa volta si udirono _due_ strilli acuti, e cri, cri, scricchio di nuovo il vetro. "Quante vetrine da cetrioli vi debbon essere colaggiu!" penso Alice. "Chi sa che faranno dopo! Quanto al cacciarmi fuori dalla finestra, vorrei che _potessero_ farlo! Certo, _io_ non ho mica voglia di rimaner piu qui!" Aspetto un poco, ma non si sentiva nulla; ecco finalmente avvicinarsi un cigolio di certe ruote di carri, e molti che vociavano e parlavano insieme: e senti che dicevano: "Dov'e l'altra scala?--Ma, io non ne dovea portare che una; Tonio ha l'altra--Di, Tonio, portala qui, bambino mio!--La, appoggiatela a quel cantone--No, no, legatele insieme prima--non vedete che non arrivano!--Oh! vi arriveranno, non sara tanto difficile!--Qua, Tonio, afferra questa fune--Ma reggera il tetto?--Bada a quella tegola che vacilla!--Ohe, casca giu!--Bada! bada!" (Patatrac!)--"Chi ha fatto cio?--Gli e Tonio, credo--Chi scendera pella gola del caminetto?--_Io_ no!--Vuoi _tu_?--No, neppur io!--Tonio dovra scendervi--Ohe, Tonio, il padrone dice che devi scendere pella gola del caminetto!" "Bellino!" disse Alice fra se, "cosi questo Tonio verra dal caminetto? Pare che quei signori abbian posto ogni carico sulle spalle del povero Tonio! Non vorrei esser mica ne' suoi panni: questo camino e molto angusto, non v'e dubbio; ma potro tirarvi qualche calcio, _credo_!" E ritiro il piede quanto piu pote dal caminetto, ed aspetto sino a che senti un animaluccio (senza che potesse indovinare a che razza appartenesse) che raschiava e scendeva adagino lunghesso il camino: "Gli e Tonio," disse, e tiro un bel calcio, poi attese cio che seguirebbe dopo. [Illustrazione] La prima cosa che senti fu un coro di voci che diceva, "Ecco Tonio che vola!" e poi la voce sola del Coniglio che gridava--"Pigliatelo, voi altri che siete vicino alla siepe!" e poi silenzio, e poi una gran confusione di voci--"Sostenetegli il capo--Qua l'acquavite--Non lo soffocate--Come ando compare? Che cosa ti avvenne? Su narraci tutto!" Finalmente s'udi una vocina debole e sibilante ("E Tonio," penso Alice), "Non saprei che dirvi--Non piu, grazie; sto meglio--ma mi sento troppo agitato per raccontarvelo--tutto quel che mi rammento gli e qualche cosa che mi sbalestro in aria, ed io schizzai via come un razzo!" "Schizzasti via davvero poveretto!" dissero gli altri. "Incendiamo la casa!" sclamo il Coniglio, ma Alice grido subito con quanta voce aveva in gola, "Se fate cio, vi faro acchiappar tutti da Dina!" Si fece subito un gran silenzio, e Alice disse fra se, "Vediamo, cosa _faranno_ ora! Se avesser cervello, scoperchierebbero il tetto." Qualche istante dopo cominciarono a muoversi di nuovo e senti il Coniglio che diceva, "Bastera, una carrettata per cominciare." "Una carrettata _di che_?" disse Alice; ma non resto molto in dubbio, perche subito una grandine di sassolini comincio a scoppiettare nella finestra, ed alcuni la colpirono in faccia. "Bisogna finirla," penso Alice, e grido, "Fareste bene di non provarvici un'altra volta!" Queste parole produssero un altro silenzio sepolcrale. Alice osservo con un po di stupore che i sassolini si convertivano in pasticcini appena toccavano il pavimento, e subito un idea le sfolgoro in mente. "Proviamo a mangiare uno di questi pasticcini," disse, "certo essi produrranno qualche mutamento nella mia statura; e siccome non potranno farmi piu grossa di quel che sono, m'impiccoliranno forse." E mangio un pasticcino, e si rallegro di vedersi subito impiccolire. Appena che si senti piccola abbastanza per uscire dalla porta, scappo dalla casa, e incontro una folla di animalucci e d'uccelli che aspettavano fuori. La povera Lucertola (era Tonio) stava nel mezzo, sostenuta da due porcellini d'India, che le davano qualche ristoro da una bottiglia. Appena comparve Alice tutti le si avventarono addosso; ma la bimba si mise a correre sino a che si ritrovo sana e salva in una foresta. "La prima cosa che dovro fare," penso Alice, vagando nella foresta, "la e quella di ricrescere e giungere alla mia statura naturale; e la seconda poi sara di cercare il modo d'entrare in quell'ameno giardino. E questo, mi pare, il miglior piano." E davvero sembrava un piano eccellente, e imaginato assai per benino; ma la difficolta stava in cio ch'ella non sapea da dove rifarsi per metterlo ad effetto; e mentre aguzzava l'occhio fra gli alberi della foresta, un piccolo latrato acuto al di sopra di lei la fece guardare in su presto presto. Un enorme cucciolo la squadrava con occhi dilatati e rotondi, e allungando una zampa cercava di toccarla. "Poverino!" disse Alice con voce carezzevole, e per allettarlo si provo a dirgli "te', te'!" ma tremava a verghe temendo che fosse affamato, nel qual caso l'avrebbe probabilmente divorata a dispetto di tutte le sue carezze. Non sapendo che farsi, prese un ramuscello e lo presento al cagnolino; questo salto in aria come un razzo, dando fuori un urlo di gioja, e s'avvento al ramuscello come se lo volesse sbranare; allora Alice si mise cautamente dietro ad un cardo altissimo per non esser da lui rovesciata; quando si affaccio all'altro lato, vide che il cagnolino s'era avventato nuovamente al ramuscello, ed aveva fatto un capitombolo nella furia d'afferrarlo; ma siccome ad Alice sembrava che era come scherzare con un cavallo di vetturale, cosi per evitare d'esser calpestata dalle zampe della bestia, fuggi di nuovo dietro al cardo: allora il cagnolino comincio una serie di cariche verso il ramuscello, correndo ogni volta al di la del segno, e correndo indietro piu di quel che gli conveniva, e sempre abbaiando raucamente sino a che s'accoccolo a una breve distanza, anelante, con la lingua penzoloni, e con gli occhioni semichiusi. [Illustrazione] Alice colse quell'occasione propizia per scappar via, e fuggi, e corse tanto da perderne affatto il fiato, e sino a che il latrare del cagnolino si perde nella lontananza. "Eppure che caro cucciolo era quello!" disse Alice, appoggiandosi a un ranuncolo e facendosi vento con una delle sue foglie: "Oh quanto avrei desiderato d'insegnargli dei giuocolini se--se fossi stata d'una statura adeguata! Oime! avevo quasi dimenticato che mi convien crescere ancora! Vediamo--come _potrei_ fare? Suppongo che dovrei mangiare o bere qualche cosa; ma quale cosa? qui sta il punto!" Davvero la gran quistione si aggirava su _quale cosa_? Alice guardo tutt'intorno, i fiori, l'erba, ma non trovo niente che le paresse adatto a mangiare o bere per quell'occorrenza. C'era pero un grosso fungo vicino a lei, press'a poco alto quanto lei, e dopo che l'ebbe osservato di sotto, ai lati, e di dietro, le parve cosa naturale di vedere cio che v'era di sopra. Si alzo sulla punta de' piedi, e affacciossi all'orlo del fungo, ed ecco gli occhi suoi s'incontrarono con quelli di un grosso Bruco turchino che se ne stava seduto nel mezzo con le braccia conserte, fumando tranquillamente una lunga pipa turca, non facendo la minima attenzione a lei, ne ad alcun'altra cosa. [Illustrazione] CAPITOLO V. CONSIGLI D'UN BRUCO. Il Bruco ed Alice si guardarono in faccia per qualche istante senza far motto; finalmente il Bruco stacco la pipa di bocca, e le parlo con voce languida e sonnacchiosa. "Chi siete _voi_?" disse il Bruco. Questa domanda non invitava troppo a una conversazione. Alice rispose con un po di timidezza, "Davvero io--io non saprei dirlo ora--so almeno chi _ero_ quando mi levai questa mattina, ma d'allora in poi temo essere stata scambiata piu volte." "Che cosa mi andate contando?" disse il Bruco con voce austera. "Spiegatevi meglio!" "Temo non potere spiegarmi," disse Alice, "perche non sono piu me stessa, com'ella vede." "Io non vedo," rispose il Bruco. "Temo che non mi sara dato di spiegarmi piu chiaramente," soggiunse Alice con modo assai gentile, "perche io non so capirla neppur io dopo essere stata mutata di statura tante volte in un giorno, cio confonde davvero." "Non e vero," disse il Bruco. "Bene, forse non se n'e ancora accorto," disse Alice, "ma quando ella sara mutata in crisalide--e cio le accadra un giorno,--e poi diverra farfalla, cio le sembrera un po strano, non e vero?" "Niente affatto," rispose il Bruco. "Eh! forse i suoi sentimenti saranno diversi da' miei," replico Alice; "ma quanto a _me_ mi parrebbe molto strano." "A voi!" disse il Bruco con disprezzo. "Chi siete _voi_?" E cio li ricondusse da capo al principio della conversazione. Alice si sentiva irritata alquanto veggendo che il Bruco le rispondeva _secco secco_, e s'impettori come una matrona romana, e dissegli gravemente, "Perche non comincia _lei_, a dirmi chi e?" "Perche?" disse il Bruco. Era quella una domanda imbarazzante; e perche Alice non sapeva trovare una buona ragione, e il Bruco pareva di cattivo umore, si volto per andarsene. "Venite qui!" la richiamo il Bruco. "Ho alcun che d'importante a dirvi." Quelle parole promettevano qualche cosa: ed Alice ritorno indietro. "Non andate in collera," disse il Bruco. "E questo e tutto?" rispose Alice, inghiottendo il suo dispetto. "No," disse il Bruco. Alice penso che poteva aspettare, perche non aveva altro di meglio a fare, e perche forse il Bruco avrebbe potuto comunicarle alcun che d'importante. Per qualche istante il Bruco pipo senza dir nulla, finalmente spiego le braccia, stacco la pipa di bocca, e disse, "E cosi voi credete di essere stata tramutata?" "Signor mio, ho paura di si," rispose Alice; "Non posso piu rammentarmi bene le cose come una volta--e non posso conservare per dieci minuti la stessa statura!" "_Quali cose_ non potete rammentare?" domando il Bruco. "Ecco, cercai una volta di ripetere 'Rondinella pellegrina' e m'usci dalle labbra tutto diverso!" soggiunse Alice assai mestamente. "Ripetetemi '_Guglielmo, tu sei vecchio_,'" disse il Bruco. Alice incrocio le mani sul petto, e comincio:-- [Illustrazione] _"Guglielmo! tu sei vecchio,"--gli disse il giovanetto, "Son bianchi i tuoi capelli--e meriti rispetto; Eppur col capo in terra--ti veggo camminare-- Ma credi che convenga--a un vecchio un tale andare?"_ _"Quand'ero giovanetto"--rispose il Vecchierello, "Credea che questo giuoco--sbalzasse il mio cervello; Ma ormai che son persuaso--che in zucca non ho nulla, Col capo in giu men vado--quando il cervel mi frulla."_ [Illustrazione] _"Guglielmo! tu sei vecchio,"--soggiunse il suo figliuolo, "Sei grosso e grasso e tondo--che sembri un cedriuolo, Eppur fai salti a ruota!--oh dimmi a quale scuola S'insegna a sfondar l'uscio--con una capriola?"_ _Rispose il buon Vecchino--"Nella mia giovinezza Studiai di conservare--al corpo la sveltezza; Virtu di quest'unguento--un franco per vasetto, Ne vuoi comprare un pajo--garbato giovanetto?"_ [Illustrazione] _"Guglielmo! tu sei vecchio,--e fiacche hai le mascelle, Ed ingollar potresti--brodose minestrelle, Ed hai mangiato un'oca--con l'ossa, e il becco intero? O Babbo, com'hai fatto?--oh spiegami il mistero!"_ _"Un di studiai le leggi"--il Babbo allor gli disse, "Ed ebbi con mia moglie--sempre querele e risse, Cio dette alle ganasce--tal forza muscolare Che ormai potrei con l'oca--la moglie divorare."_ [Illustrazione] _"Guglielmo! tu sei vecchio"--riprese il giovanetto, "La vista non ti regge--e sai, ti fa difetto; E porti in equilibrio--sul naso quell'anguilla! Oh qui la tua destrezza--davver si mostra e brilla!"_ _"Risposi a tre domande--e ormai ti puo bastare; Non rompermi le scatole,--non voglio piu parlare; Oh credi che mi piacciano--le sciocche tue questioni? Via, smetti, o per la scala--ti mando ruzzoloni!"_ "Non l'avete recitata bene," disse il Bruco. "Temo di no," rispose timidamente Alice, "certo alcune parole sono scambiate." "Male dal principio alla fine," disse il Bruco con accento risoluto, e successe un silenzio per qualche minuto. Il Bruco fu il primo a parlare. "Di che statura vorreste essere?" domando. "Oh non vado tanto pel sottile in quanto alla statura," rispose in fretta Alice; "soltanto non mi piace di mutar tanto spesso, sa." "Non _so_ niente," disse il Bruco. Alice non fiato: giammai la poverina era stata tante volte contraddetta, e stava li li per scoppiare. "Siete contenta ora?" domando il Bruco. "No, davvero, vorrei essere un _pocolino_ piu grande, se non le dispiacesse," rispose Alice: "si figuri, ho una ben meschina statura, appena tre pollici!" "L'e una buona statura, cotesta!" disse il Bruco con voce dispettosa, rizzandosi come un fuso mentre parlava (egli era alto tre pollici per l'appuntino). "Ma io non ci sono abituata!" soggiunse Alice con voce carezzevole e mesta. E poi penso fra se: "Vorrei che coteste creaturine non s'offendessero cosi per nulla!" "Vi abituerete col tempo," disse il Bruco, e rimettendosi la pipa in bocca, rincomincio a pipare. Questa volta Alice aspetto pazientemente che egli stesso riappiccicasse il discorso. Passati due o tre minuti, il Bruco levo la pipa di bocca, sbadiglio un poco, e si scosse tutto. Poi discese dal fungo, e ando strisciando nell'erba, dicendo soltanto queste parole "Un lato vi fara crescere di piu, e l'altro vi fara diminuire." "Un lato di _che cosa_? L'altro lato di _che cosa_?" penso Alice fra se. "Del fungo," disse il Bruco, come se Alice l'avesse interrogato ad alta voce; e subito disparve. Alice rimase pensierosa riguardando al fungo e cercando di scoprire quali fossero i due lati di esso; e perche era tondo come l'O di Giotto, non sapea trovarli. Cio non di meno allungo quanto potea le braccia per circondare il fungo, e ne ruppe due pezzettini all'orlo con ciascuna delle sue mani. "Ed ora, quale e l'uno e quale e l'altro?" disse fra se, e si mise a morsecchiare il pezzettino che aveva alla destra, cosi per provarne l'effetto, quando si senti in un attimo un colpo violento sotto il mento; aveva battuto sul piede! Quel mutamento subitaneo la spavento moltissimo, ma non c'era tempo a perdere, perche spariva rapidamente; cosi si mise subito a morsecchiare l'altro pezzettino. Il suo mento era talmente stretto al piede che a mala pena potette aprir la bocca; finalmente riusci a inghiottire un bocconcello del pezzettino della mano sinistra. * * * * * "Ah! respiro finalmente, la mia testa e libera!" sclamo Alice con gioja, ma tosto la sua allegrezza si muto in terrore quando si accorse che non potea piu trovare le spalle: guardando in giu non pote vedere che un collo lungo, lungo che s'elevava come uno stelo d'in mezzo a un campo di foglie verdeggianti che stavano lungi, sotto a lei. "Che cosa _e_ mai quel campo verde?" disse Alice. "E _dove_ sono andate le mie spalle? Oh tapina me! come va che non vi veggo piu, o mie povere mani?" E andava movendole mentre parlava, ma non sembrava che ne seguisse altro che un piccolo movimento fra le verdi foglie in lontananza. Non sembrando possibile di portar le mani al capo, cerco di piegare il capo verso le mani, e fu contenta di vedere che il suo collo potea piegarsi e dirigersi dovunque, come un serpente. Era riuscita a curvarlo in giu in forma d'un grazioso _zigzag_, e stava li li per tuffarsi fra le foglie, quando si accorse che erano le cime degli alberi sotto i quali s'era smarrita. E senti un gemito acuto per cui si ritiro indietro in fretta: un grosso colombo era volato verso di lei, e le sbatteva le ali contro la faccia in modo furioso. "Serpente!" grido il Colombo. "_Non_ sono un serpente, io!" disse Alice, adirata. "Va via!" "Serpente, dico!" ripete il Colombo, ma con voce piu dimessa, e soggiunse singhiozzando, "Ho cercato tutt'i rimedii, ma nulla m'e giovato!" "Io non so di che cosa mai tu parli," disse Alice. "Ho provato le radici degli alberi, ho provato i poggetti, ho provato le siepi," continuo il Colombo senza badare a lei; "ma i serpenti! Oh non c'e modo di contentarli!" Alice era sempre piu meravigliata e confusa, ma penso ch'era inutile parlare sino a che il Colombo avesse finito. "Come che fosse poca pena covar le uova," disse il Colombo, "mi abbisogna vegliare a causa dei serpenti, e giorno e notte! Son tre settimane che non ho chiuso un occhio!" "Mi dispiace di vederti cosi angosciato!" disse Alice, la quale cominciava a capire il Colombo. "E giusto quando avevo scelto l'albero piu elevato della foresta," continuo il Colombo con un grido disperato, "e mi credea liberato finalmente da loro, ecco che mi piovono giu dal cielo! Ih! Serpentaccio!" "Ma io _non_ sono un serpente, ripeto!" rispose Alice. "Io sono una---- Io sono una----" "Bene, _chi_ sei tu?" disse il Colombo. "Vedo bene che tu cerchi dei raggiri per ingannarmi!" "Io--Io sono una ragazzina," rispose Alice, ma quasi dubitando di se stessa, poiche si rammentava l'innumerevole serie di trasformazioni che avea passate in quel giorno. "Bella storiella!" disse il Colombo con voce di profondo disprezzo. "Ho veduto molte ragazzine in mia vita, ma niuna con un collo simile. No, no! Tu sei un serpente; e non serve negarlo. Scommetto che mi dirai che non hai mai gustato un uovo!" "Ma si che _ho_ gustato delle uova," soggiunse Alice, la quale era una bambina assai veridica; "sai pure che le ragazzine mangiano quanto i serpenti!" "Non ci credo," disse il Colombo; "ma se pure e cosi, esse sono una razza di serpenti, ecco quello che potrei dire." Questa idea era cosi nuova per Alice, che resto muta qualche minuto; il Colombo ne profitto per soggiungere, "Tu vai occhiando le uova, _lo_ comprendo; oh che importa a me che tu sia una fanciulla o un serpente?" "Ma importa moltissimo a _me_," rispose subito Alice; "pure ora non vado cercando uova; e quando anche ne cercassi non vorrei delle tue; crude non mi piacciono." "Via dunque da me!" disse brontolando il Colombo, e si accovaccio nel nido. Alice s'appiatto il meglio che potea fra gli alberi, perche il suo collo s'intralciava fra i rami, e spesso dovea fermarsi per sbrogliarsene. Dopo qualche istante si rammento che avea tuttavia nelle mani i due pezzettini di fungo, e si mise all'opera con molta avvedutezza morsecchiando or l'uno or l'altro, e cosi ora cresceva ed or diminuiva, sinche riusci a riavere la sua statura naturale. Era tanto tempo che non avea piu avuto la sua statura naturale, che da prima le parve strano, ma vi si abituo in pochi minuti, e rincomincio a parlare fra se secondo il solito. "Ecco, sono a meta del mio piano! Sono pure strane tutte queste trasformazioni! Non son mai certa di che addiventero da un minuto all'altro! Ad ogni modo sono tornata alla mia giusta statura: ora bisognerebbe pensare al modo di penetrare nell'ameno giardino--come potro farlo, pagherei saperlo!" E cosi dicendo, giunse senza avvedersene a una piazza che avea nel mezzo una casettina alta quattro piedi circa. "Chiunque sia che vi abiti," penso Alice, "non converrebbe mai con questa mia statura andare a visitarli cosi all'improvviso; farei loro una paura terribile!" E rincomincio a morsecchiare il pezzettino che aveva alla man destra, e non oso di avvicinarsi alla casa, se non quando si rimpiccoli tanto che avea nove pollici di altezza. CAPITOLO VI. PORCO E PEPE. Per qualche istante si mise a guardar la casa, e non sapea che fare, quando ecco un servo in livrea venne frettolosamente dalla foresta--(lo prese per un servitore perche era in livrea, altrimenti al viso l'avrebbe creduto un pesce),--e picchio furiosamente all'uscio colle nocche. La porta fu spalancata da un altro servitore in livrea, con una faccia rotonda, e occhi grossi come un ranocchio; ed Alice osservo che entrambi aveano in testa parrucche incipriate ed inanellate. Tutto questo le eccito la curiosita, e usci un poco dalla foresta e si mise ad origliare. [Illustrazione] Il Pesce-Servo cavo di sotto il braccio un letterone, grande quasi quanto lui, e lo presento all'altro, dicendo con voce solenne, "Per la Duchessa. Un invito della Regina per giuocare una partita di _croquet_." Il Ranocchio-Servo rispose con lo stesso tuono di voce, ma invertendo l'ordine delle parole, "Da parte della Regina. Un invito alla Duchessa per giuocare una partita di _croquet_." Ed entrambi s'inchinarono sino a terra, e le ciocche de' loro capelli s'imbrogliarono insieme. Alice proruppe in una grossa risata, e dovette internarsi nella foresta per paura di esser sentita; e quando poi torno ad occhiare, il Pesce-Servo era andato via, e l'altro sedeva a terra press'all'uscio, stralunando stupidamente gli occhi verso il cielo. Alice si avvicino timidamente alla porta e picchio. "Non giova punto picchiare," disse il Servo, "e cio per due ragioni. La prima perche io sto allo stesso lato dell'uscio dov'ella sta; la seconda perche di dentro stanno facendo un tale strepito che niuno potrebbe sentirla." E davvero si _sentiva_ un gran rumore nel di dentro--un guaire e uno starnutire non mai interrotti, e di tempo in tempo un gran fracasso, come se un piatto o una caldaia andasse a pezzi. "Di grazia," domando Alice, "che dovrei fare per entrare?" "Il suo picchiare riuscirebbe a qualche effetto," continuo il Servo senza badare a lei, "se la porta fosse fra noi due. Per esempio se lei fosse _dentro_, potrebbe picchiare, ed io la farei uscire, capisce." E continuava a guardare il cielo mentre parlava; e cio pareva proprio scortese ad Alice. "Ma forse non puo farne a meno," disse fra se; "ha gli occhi incastrati sul cranio! Potrebbe pero rispondere a qualche domanda--Come potrei fare per entrar dentro?" disse Alice a voce alta. "Io siedero qui," osservo il Servo, "sino a domani----" In quell'istante l'uscio della casa si apri, e un gran piatto volo verso la testa del Servo, e gli sfioro il naso, poi ando a sfracellarsi contro a un albero ch'era dietro a lui. "---- o sino a dopo domani, forse," continuo il Servo con la stessa imperturbabilita, come se nulla fosse accaduto. "Come potrei fare per entrar dentro?" grido di nuovo Alice, ma con voce piu forte. "Dovra _ella_ entrare?" rispose il Servo. "La e questa la quistione principale." E avea ragione; soltanto Alice non volea che le fosse fatta quella domanda. "E orribile," mormoro fra se, "il modo con cui arguiscono coteste bestie. Mi farebbero impazzare!" Il Servo colse quella propizia opportunita per ripetere l'osservazione con qualche variante: "Io siedero qui, su per giu, per giorni e giorni." "Ma che cosa debbo _io_ fare?" domando Alice. "Quel che vuole," rispose il Servo, e si mise a zufolare. "E inutile di parlar con lui," disse Alice, tutta disperata: "e un idiota spaccato!" E apri l'uscio ed entro. Quell'uscio menava diritto a una cucina spaziosa, da un capo all'altro tutta ripiena di fumo: la Duchessa sedeva nel mezzo sopra uno sgabello a tre piedi, e ninnava un bambino; la cuoca era in faccia al fornello, mestando un calderone che parea pieno di minestra. [Illustrazione] "Certo c'e troppo pepe in quella minestra!" disse Alice a se stessa, non potendo rattenere gli starnuti. Ma davvero c'era troppo pepe nell'aria. Anche la Duchessa starnutiva qualche volta; e quanto al bimbo non faceva altro che starnutire e strillava a vicenda senza posa. I soli due esseri che non starnutivano nella cucina, erano la Cuoca, e un grosso gatto che stava accoccolato presso il focolare e ghignando con la bocca, da un orecchio all'altro. "Mi dica, di grazia," domando Alice, un po' timidamente, perche non era certa se fosse buona creanza di cominciare a parlare, "perche il suo gatto ghigna cosi?" "E un Ghignagatto," rispose la Duchessa, "ecco il perche. Porco!" Ella pronunzio l'ultima parola con una tale furia che Alice trasali; ma subito s'accorse che quel titolo era dato al bambino e non gia a lei, cosi si rianimo, e continuo a dire: "Non sapea che i gatti ghignassero a quel modo: anzi non sapea neppure che i gatti _potessero_ ghignare." "Tutti lo possono," rispose la Duchessa; "e la maggior parte ghignano." "Non ne conosco alcuno che faccia il ghigno," replico Alice con molto rispetto, e contenta ch'era entrata in conversazione. "Voi non sapete molto," disse la Duchessa; "e questo e quanto!" Non piacque punto ad Alice quella risposta secca, e penso di mutar discorso. Mentre cercava un argomento, la cuoca tolse il calderone della minestra dal fuoco, e tosto si mise a gittar tutto cio che le stava vicino contro alla Duchessa ed al bambino--pria volarono le molle e la paletta; poi un nembo di casseruole, di piatti e di tondi. La Duchessa non se ne dette per intesa nemmeno quando era colpita; e il bimbo guaiva di gia tanto forte che non si poteva sapere se i colpi gli facessero male o no. "Ma faccia attenzione a quel che fa!" grido Alice, saltando qua e la tutta spaventata. "Addio naso!" continuo a dire, mentre una grossa casseruola volo vicino al naso del mimmo, e poco manco che non glielo portasse via. "Se ognuno badasse alle proprie faccende," sclamo la Duchessa con voce rauca, "il mondo girerebbe piu presto di quello che nol fa ora." "Cio _non_ sarebbe un bene," disse Alice, lieta di poter far pompa della sua erudizione. "Pensi che confusione farebbe del giorno e della notte! Ella sa che la terra impiega ventiquattro ore per girare intorno al suo asse----" "A proposito di asce!" grido la Duchessa, "tagliatele il capo!" Alice guardo con ansieta la cuoca per vedere se ella ubbidisse al cenno; ma la cuoca era occupata a dimenare la minestra, e non parea che avesse ascoltato, percio ando innanzi dicendo: "Ventiquattr'ore, _credo_; o dodici? Io----" "Oh non mi seccate," disse la Duchessa; "Non ho mai potuto sopportare le cifre!" E rincomincio a cullare il bimbo, cantando una certa Ninna-Nanna, e dandogli una violenta scossa alla fine d'ogni strofa:-- "_Parla duro al tuo bambino, Dagli botte se starnuta; Ei guaisce il malandrino Perche il pepe mio rifiuta! Ei ci annoia co' suoi lai!_" (Coro al quale si uniscono la Cuoca e il bimbo):-- "_Guai! Guai! Guai! Guai!_" Mentre la Duchessa cantava la seconda strofa, faceva saltare il bimbo su e giu con molta violenza, e il poverino guaiva tanto che Alice appena potette udire le parole della poesia:-- "_Parlo duro al mio bambino, Lo sculaccio se starnuta, Perche il pepe, il malandrino, Quando ei vuol, non lo rifiuta. Ei ci annoia co' suoi lai!_" CORO. "_Guai! Guai! Guai! Guai!_" "Tenete! voi ve lo potrete ninnare un poco se v'aggrada!" disse la Duchessa ad Alice, buttandole il bimbo in braccio. "Bisogna ch'io vada a prepararmi per giuocare una partita a _croquet_ con la Regina," e scappo via. La cuoca le scaravento addosso una padella, e per poco non la colse. Alice afferro il bimbo ma con qualche difficolta, perche la era una creaturina molto strana; e le sue mani e i suoi piedi guizzavano verso tutt'i lati, "proprio come quell'animaletto marino che si chiama stella," penso Alice. Il poverino, quando Alice lo prese, stronfiava come una macchina a vapore, e continuava a contorcersi e a stiracchiarsi, di tal che ella ebbe la maggior pena del mondo per tenerlo. Quando la fanciulla trovo la maniera di ninnarlo a modo (e cio consisteva nell'averlo aggruppato bene come un nodo, e afferrato all'orecchio destro e al piede sinistro, per non permettergli di sciogliersi) lo porto all'aria aperta. "Se non porto via questo bambino meco," osservo Alice, "e certo che qualche giorno l'ammazzeranno; non sarei colpevole d'un assassinio se lo abbandonassi?" Ella pronunzio le ultime parole a voce alta, e il poverino si mise a grugnire per risponderle (non starnutiva piu allora). "Non grugnire," disse Alice, "non sta bene esprimersi a quel modo." Il bimbo grugni di nuovo, e Alice lo guardo con molta ansieta per vedere che avesse. Aveva un naso che s'arricciava _troppo_, e non c'era dubbio che rassomigliava piu a un grugno che a un naso naturale; e poi gli occhi s'impiccolivano tanto che non pareano occhi di bambino: tutto insieme quell'aspetto non piaceva ad Alice punto, punto. "Forse singhiozzava," penso ella, e riguardo di nuovo a' suoi occhi per vedere se vi fossero lagrime. [Illustrazione] Ma non ce n'erano. "Carino mio, se tu ti trasformi in porcellino," disse Alice seriamente, "non voglio aver piu nulla a fare con te. Bada a te dunque!" Il poverino si rimise a singhiozzare (forse grugniva, ma era difficile il distinguere), e andarono innanzi silenziosamente per qualche tempo. Alice aveva appena cominciato a riflettere, "Che cosa ho da fare di questa creatura quando la portero a casa?" allorche grugni di nuovo, e tanto forte, che tutta spaventata si mise a riguardarla in faccia. Questa volta _non_ c'era piu dubbio; era un porcellino bell'e buono, ed essa fu persuasa che non c'era piu ragione di portarlo oltre. Cosi depose quella creaturina a terra, e si senti sollevata quando la vide trottare via quietamente verso la foresta. "Se fosse cresciuto," disse fra se, "sarebbe stato un bruttissimo ragazzo; ma diventera, un bellissimo porco, credo." E riando con la memoria a certi fanciulli che conosceva, i quali potrebbero essere buonissimi porcellini, e stava per dire, "se uno conoscesse il vero modo di mutarli--" quando trasalto un poco di paura veggendo il Ghignagatto, accoccolato sopra un ramo d'albero, a pochi metri di distanza. Il Gatto fece soltanto un ghigno quando vide Alice. Sembra di buon umore, penso; cio non di meno ha le unghie _troppo_ lunghe, ed ha troppi denti, percio bisognera trattarlo con molta deferenza. "Ghignamicio," comincio a dire con un poco di timidita, perche non sapeva se gli piacesse quel titolo; cio non di meno egli non fece altro che ghignare piu apertamente. "Via, ci ha piacere," penso Alice, e continuo, "Vorresti dirmi, quale via dovrei infilare da qui?" "Cio dipende molto dal luogo dove vorresti andare," rispose il Gatto. "Poco importa dove----" disse Alice. "Allora poco importa di sapere quale via dovresti prendere," soggiunse il Gatto. "---- purche giunga a _qualche luogo_," riprese Alice, come se volesse spiegarsi meglio. "Oh certo, vi giungerai!" disse il Gatto, "sai il proverbio italiano, _'tanto cammina sino che arriva.'_" Alice senti che quel proverbio non poteva essere contraddetto, e tento un altra domanda. "Che razza di gente abita in questi dintorni?" "Di _la_," rispose il Gatto, girando la zampa destra, "abita un Cappellaio; e di _qua_," indicando con l'altra zampa, "abita una Lepre-marzolina. Visita chi vuoi de' due: sono entrambi matti." "Ma non mi piace d'andare dai matti," osservo Alice. "Oh, non c'e modo d'uscirne," disse il Gatto: "qui siam tutti matti. Io son matto. Tu sei matta." "Come sai ch'io sono matta?" domando Alice. "Tu devi esserla," disse il Gatto, "altrimenti non saresti venuta qui." Non parve una ragione sufficiente ad Alice, ma pure continuo: "oh come sai che tu sei matto?" "Per cominciare," disse il Gatto, "un cane non e matto. Ne convieni?" "Lo suppongo," rispose Alice. "Bene," continuo il Gatto, "un cane brontola quando e arrabbiato, ed agita la coda quando e contento. Ora _io_ brontolo quando son contento, ed agito la coda quando sono arrabbiato. Dunque son matto." [Illustrazione] "Io direi far le fusa, e non gia brontolare," disse Alice. "Di come vuoi," riprese il Gatto. "Vai tu quest'oggi dalla Regina, a giuocare a _croquet_?" "Lo desidererei tanto," rispose Alice, "ma non sono stata ancora invitata." "Mi vedrai da lei," disse il Gatto, e spari. Alice non fu sorpresa da tutto questo: si era di gia abituata a veder cose strane. Mentre guardava ancora al ramo dov'era stato il Gatto, eccotelo ricomparire di nuovo. "A proposito, che n'e del bimbo?" disse il Gatto. "Avea dimenticato di domandartene." "Si muto in porcellino," rispose Alice senza scomporsi, come che il Gatto fosse riapparito in modo naturale. "Me l'ero immaginato," disse il Gatto, e spari di nuovo. Alice aspetto un poco, mezzo persuasa che riapparisse nuovamente, ma non ricomparve, e pochi istanti dopo si diresse alla via dove abitava la Lepre-marzolina, "Di cappellai ne ho veduti tanti," disse fra se: "sara piu interessante per me la Lepre-marzolina, e come siamo a Maggio non sara poi tanto matta da legare--almeno meno matta di quel che l'era nel Marzo." Mentre diceva queste parole, riguardo in alto, ed eccoti di nuovo il Gatto, accoccolato sul ramo d'un albero. [Illustrazione] "Dicesti porcellino o porcellana?" domando il Gatto. "Dissi porcellino," rispose Alice; "ma ti prego di non apparire e disparire come un lampo: mi fai girare il capo!" "Sta bene," disse il Gatto; e questa volta spari lentamente; comincio con la punta della coda, e fini col suo ghigno, e questo resto come una visione sul ramo dopo che tutto era sparito. "Oh bella! Ho veduto spesso un gatto senza ghigno," osservo Alice, "ma un ghigno senza gatto! E la cosa piu curiosa ch'io abbia mai veduta in tutta la mia vita!" Non si era dilungata di molto quando si trovo in faccia alla dimora della Lepre-marzolina: penso che quella fosse proprio la casa, perche le gole dei camini aveano la forma di orecchie, e il tetto era coperto di pelo. La casa era tanto grande che ella non oso di avvicinarvisi se non dopo aver morsecchiato un poco del fungo che avea nella mano sinistra, e crebbe quasi due piedi di altezza: cio non la libero dall'ansieta, e mentre si avvicinava timidamente alla porta, diceva fra se, "E se poi fosse matto furioso! Quasi quasi vorrei essere andata a trovare il Cappellaio!" CAPITOLO VII. UN TE DI MATTI. Sotto un albero in faccia alla casa c'era una tavola apparecchiata, e vi prendevano il te la Lepre-marzolina e il Cappellaio: un Ghiro che dormiva profondamente stava fra loro, ed essi se ne servivano come se fosse un guanciale, appoggiando i gomiti su lui e discorrendo sopra il suo capo. "Che disturbo pel Ghiro," penso Alice, "ma siccome dorme, m'immagino che non ci fara attenzione." La tavola era spaziosa, pure i tre stavano aggruppati insieme a un angolo: "Non c'e posto! Non c'e posto!" gridarono, quando videro che Alice si avvicinava. "C'e _molto_ posto!" disse Alice, sdegnosa, e si mise a sedere in un comodissimo seggiolone che stava ad una delle estremita della tavola. "Vuole del vino?" disse la Lepre-marzolina con modo attraente. Alice guardo sulla tavola, e vide che non c'era altro che te. "Non vedo vino," osservo essa. "Non ce n'e punto," replico la Lepre-marzolina. "Ma allora non e cortese, invitandomi a bere quel che non ha," disse Alice sdegnosamente. "Come non fu punto civile da parte sua di sedersi qui senz'essere invitata," osservo la Lepre-marzolina. "Non sapea che la tavola appartenesse a _lei_" rispose Alice, "e apparecchiata per piu di tre." "Dovrebbe farsi tagliare i capelli," disse il Cappellaio. Egli aveva osservato Alice per qualche istante, e con molta curiosita, e furon quelle le prime parole che profferi. "Ella non dovrebbe fare osservazioni che sanno di personalita," disse Alice un po' severa: "cio e molto sconvenevole." [Illustrazione] Il Cappellaio spalanco enormemente gli occhi udendo quelle parole; ma _disse_ soltanto, "Perche un corvo e simile a un coccodrillo?" "Via! Ora si che ci divertiremo!" penso Alice. "Sono contenta che hanno cominciato a proporre degl'indovinelli--credo di potere indovinarlo," soggiunse ad alta voce. "Intende dire che potra trovare la risposta?" domando la Lepre-marzolina. "Sicuramente," rispose Alice. "Ebbene dica quel che intende," disse la Lepre-marzolina. "Ecco," riprese Alice, in fretta; "almeno--almeno intendo quel che dico--e cio vale lo stesso, capite." "Niente affatto lo stesso!" disse il Cappellaio. Sarebbe come dire, "'Veggo quel che mangio' e lo stesso di 'Mangio quel che veggo?'" "Sarebbe come dire," soggiunse la Lepre-marzolina. "'Mi piace cio che prendo,' e lo stesso che 'Prendo quel che mi piace?'" "Sarebbe come dire," aggiunse il Ghiro che parea parlasse nel sonno, "'respiro quando dormo' e lo stesso che 'dormo quando respiro?'" "E _lo_ stesso per voi," disse il Cappellaio, e qui la conversazione cadde, e tutti sedettero muti per poco tempo, mentre Alice cerco di ricordarsi tutto quel che sapea su' corvi e su' coccodrilli, ma non era molto. Il Cappellaio fu il primo a rompere il silenzio. "Che giorno del mese abbiamo?" disse, volgendosi ad Alice, mentre prendeva l'oriuolo dal taschino, e lo guardava con un certo turbamento, scuotendolo di tempo in tempo, e appoggiandolo all'orecchio. Alice penso un poco, e rispose, "Li quattro del mese." "Ritarda di due giorni!" osservo sospirando il Cappellaio. "Te lo dissi che il burro non avrebbe giovato al movimento!" soggiunse, guardando rabbiosamente la Lepre-marzolina. "Era del _miglior_ burro," rispose sommessamente la Lepre-marzolina. "Si, ma devono esserci entrate anche delle miche di pane," borbotto il Cappellaio: "non dovevi metterlo dentro col coltello del pane." La Lepre-marzolina prese l'oriuolo e lo guardo mestamente: poi lo tuffo nella sua tazza di te e lo guardo di nuovo: ma non potette far altro che ripetere l'osservazione fatta pur dianzi: "Era del _miglior_ burro che si potesse avere, sapete." Alice intanto lo guardava, con un poco di curiosita, di sopra le spalle, e disse, "Che curioso oriuolo! Indica i giorni del mese, e non gia le ore del giorno!" "Perche no?" sclamo il Cappellaio. "Che forse il _suo_ oriuolo le dice in che anno viviamo?" "No davvero," si affretto a rispondere Alice, "perche l'oriuolo segna lo stesso anno per molto tempo." "Cio che appunto accade al _mio_," rispose il Cappellaio. Alice provo un momento di grave imbarazzo. Le parea che l'osservazione del Cappellaio non avesse senso di sorta, eppure parlava correttamente. "Non la comprendo bene," disse con molta delicatezza. "Il Ghiro e tornato a dormire," disse il Cappellaio, e gli verso un poco di te scottante sul naso. Il Ghiro scosse il capo con un moto d'impazienza, e senza aprir gli occhi, disse, "Gia! Gia! Appunto quello che stavo per dire." "Ha ancora indovinato l'indovinello?" disse il Cappellaio, rivolgendosi ad Alice. "Mi do per vinta," rispose Alice: "Quale e la risposta?" "Non ne ho la minima idea," rispose il Cappellaio. "Neppure io," disse la Lepre-marzolina. Alice sospiro dalla noia e disse: "Ma credo che sarebbe bene di passar meglio il tempo, che perderne, proponendo indovinelli che non hanno senso." "Se lei conoscesse il Tempo come lo conosco io," rispose il Cappellaio, "non direbbe che noi ne perdiamo. Non si tratta di me, ma di lui." "Non so che ella si dica," osservo Alice. "Sicuro, nol sa!" disse il Cappellaio, scuotendo il capo con un'aria di disprezzo. "Scommetto che lei non ha mai parlato col tempo!" "Forse no," rispose prudentemente Alice; "ma so che debbo battere il tempo quando imparo la musica." "Ah! e questo spiega tutto," disse il Cappellaio. "Ei non vuol essere battuto. Se lei non si bisticciasse con lui, egli farebbe dell'oriuolo cio che ella vuole. Per esempio, supponga che sieno le nove della mattina, ch'e l'ora per le lezioni: basterebbe ch'ella bisbigliasse una parolina al Tempo, e subito girerebbe la lancetta! Il tocco e mezzo, l'ora del desinare!" ("Vorrei che fosse," bisbiglio la Lepre-marzolina.) "Sarebbe magnifica, davvero," disse Alice, pensierosa: "ma non avrei fame a quell'ora, capisce." "Da principio forse, no," riprese il Cappellaio: "ma lei potrebbe fermarlo sul tocco e mezzo, quando vorrebbe." "Ed _ella_ fa cosi?" domando Alice. Il Cappellaio scosse la testa mestamente e rispose. "Io no! Ci siamo bisticciati nello scorso marzo---- proprio quando _egli_ divenne matto----" (ed indico col cucchiaino la Lepre-marzolina), "----gia, fu al gran concerto dato dalla Regina di Cuori:--ivi dovetti cantare: [Illustrazione] '_Tu che al ciel spiegasti l'ale O mia testa Soppressata!_'" "Conosce lei quest'aria?" "Ho sentito qualche cosa che le rassomiglia," rispose Alice. "La va di questo verso," continuo il Cappellaio:-- "'_Ti rivolgi a me, fettata, Teco il pane aggiungero!_'" Giunto qui, il Ghiro si dette una scossetta, e comincio a cantare in mezzo al sonno "_Teco il pane; teco il pane aggiungero----_" e via, via ando innanzi, sino a che gli si dovettero dare de' pizzicotti per farlo tacere. "Ebbene, aveva appena finito di cantare la prima quartina," disse il Cappellaio, "che la Regina proruppe furiosa, 'Egli sta assassinando il tempo! Tagliategli il capo!'" "Terribilmente feroce!" sclamo Alice. "D'allora in poi," continuo mestamente il Cappellaio, "non ha voluto piu far quel che io gli chiedo! Segna sempre le sei." Un'idea luminosa colpi Alice, e domando: "E questa forse la ragione per cui vi sono tante tazze apparecchiate?" "Proprio cosi," rispose il Cappellaio, con un sospiro: "e sempre l'ora del te, e non abbiamo mai tempo di risciaquare le tazze." "E cosi, andate girando sempre intorno, nei frattempi?" disse Alice. "Proprio cosi," replico il Cappellaio: "a misura che le tazze hanno servito." "Ma come fate quando venite a ricominciare da capo?" Alice ardi domandare. "Se mutassimo il discorso," disse, sbadigliando, la Lepre-marzolina. "Cotesto costi mi secca mortalmente. Vorrei che la Signorina ci raccontasse una storiella." "Temo di non saper contarne alcuna," rispose Alice un poco intimorita. "Allora il Ghiro ce ne dira una!" gridarono entrambi. "Risvegliati, Ghiro!" E lo punzecchiarono da' due lati. Il Ghiro apri lentamente gli occhi, e disse con voce debole e rauca, "Non dormiva, io! Non m'e scappata neppure una parola di quello che dicevate." "Raccontaci una novella!" disse la Lepre-marzolina. "Di grazia, ce ne dica una!" supplico Alice. "E fa' presto," soggiunse il Cappellaio, "se no ti raddormenterai prima di finirla." "C'erano una volta tre sorelle," comincio in gran fretta il Ghiro, "e si chiamavano Elce, Clelia e Tilla; e dimoravano nel fondo d'un pozzo----" "Che cosa mangiavano?" domando Alice, la quale prendeva sempre un vivo interesse nelle quistioni di mangiare e bere. "Mangiavano melazzo," rispose il Ghiro, dopo d'averci pensato su qualche istante. "Ma non lo potevano," osservo Alice, con garbo; "sarebbero cadute ammalate." "Lo erano, di fatto," rispose il Ghiro, "_molto_ ammalate." Alice cerco di figurarsi quella strana maniera di vivere, ma ne resto confusa, e continuo: "Ma perche vivevano nel fondo d'un pozzo?" "Prenda un po' piu di te," disse la Lepre-marzolina, con molta premura. "Non ho preso ancora nulla," rispose Alice, tutta offesa, "cosi non posso prenderne di piu." "Vuoi dire che non ne puo prender _meno_," disse il Cappellaio: "e molto piu facile prendere _piu_ che nulla." "Niuno ha domandato il _suo_ parere," soggiunse Alice. "Chi e che fa ora delle questioni personali?" domando il Cappellaio con aria di trionfo. Alice non seppe bene che rispondere, ma preso una tazza di te con pane e burro, e rivolgendosi al Ghiro, gli domando di nuovo: "Perche vivevano nel fondo del pozzo?" Il Ghiro si mise a riflettere un poco, e rispose, "Era un pozzo di melazzo." "Ma non s'e udito mai una cosa simile!" interruppe Alice con voce sdegnosa; ma la Lepre-marzolina e il Cappellaio vociarono "St! st!" e il Ghiro continuo con voce burbera, "Se non ha creanza, finisca la novelletta da se." "No, la prego di continuare!" disse Alice molto umilmente: "Non la interrompero piu. Forse ce ne sara _uno_ di quei pozzi." "Uno, eh via!" rispose il Ghiro sdegnosamente. Cio non di meno, pregato, continuo: "E quelle tre sorelle--imparavano a trarne----" "Che cosa traevano?" domando Alice, dimenticando che avea promesso di zittire. "Del melazzo," rispose il Ghiro, senza riflettere punto questa volta. "Ho bisogno d'una tazza pulita," interruppe il Cappellaio; "avanziamo tutti d'un posto avanti!" E mentre parlava, si mosse, e il Ghiro lo segui: la Lepre-marzolina occupo il posto del Ghiro, e Alice prese, contro voglia, il posto della Lepre-marzolina. Il solo Cappellaio profitto di quel mutamento: e Alice si trovo peggio di prima, perche la Lepre-marzolina avea rovesciato il bricco del latte nel suo tondo. Alice non voleva offender di nuovo il Ghiro, e disse con molta delicatezza: "Non capisco bene. Da dove traevano il melazzo?" "Ella sa trarre l'acqua dal pozzo d'acqua, non e vero?" disse il Cappellaio; "ebbene si puo cosi trarre melazzo da un pozzo di melazzo--eh! stupidina!" Questa risposta accrebbe talmente la confusione d'Alice, che ella permise al Ghiro di continuare, senza interromperlo piu. "Imparavano a trarre," continuo il Ghiro, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi, perche moriva di sonno; "e traevano cose d'ogni genere---- tutto quel che comincia con una T----" "Perche con una T?" domando Alice. "Perche no?" grido la Lepre-marzolina. Alice zitti. Il Ghiro intanto avea chiusi gli occhi, e cominciava un sonnellino; ma punzecchiato dal Cappellaio, si risveglio con un gemito, e continuo: "----che comincia con una T, come una Trappola, un Topo, una Topaja, un Troppo--gia, ella dice 'il troppo stroppia '--oh, non ha mai veduto il ritratto d'un 'troppo stroppia'?" "Veramente, ora che lei mi domanda," disse Alice, molto confusa, "non so----" "Allora non parli," disse il Cappellaio. Questa sgarbatezza urto la sensibilita di Alice: si alzo assai sdegnata e usci fuori; il Ghiro si addormento in un attimo e niuno degli altri due noto che Alice era uscita, benche ella si fosse rivoltata indietro una o due volte, con una mezza speranza che la richiamassero: pero l'ultima volta vide che le due birbe cercavano di tuffare il Ghiro nel vaso da te. "Mai piu _ci_ tornero," disse Alice internandosi nella foresta. "E la piu stupida societa in mezzo a cui io mi sia trovata!" [Illustrazione] Mentre parlava cosi, osservo che un albero aveva un uscio pel quale s'entrava proprio dentro. "Oh cio e molto curioso!" penso Alice. "Ma ogni cosa oggi e curiosa. Credo che faro bene ad entrare." Ed entro. Si trovo di nuovo nel lungo salone, e presso al tavolino di cristallo. "Questa volta faro meglio," disse fra se, e prese la chiavettina d'oro ed apri l'uscio che conduceva al giardino. Poi si mise a morsecchiare il fungo (ne avea conservato un pezzettino nella tasca), sino a che ebbe un piede d'altezza o giu di li: traverso il piccolo andito: e _poi_--si ritrovo finalmente nell'ameno giardino in mezzo ad aiuole lussureggianti di fiori, ed a fontane fresche. CAPITOLO VIII. IL CROQUET DELLA REGINA. Un magnifico rosajo stava vicino all'ingresso del giardino: le sue rose erano bianche, ma tre giardinieri che gli stavano d'intorno erano occupati a colorirle di rosso. Davvero, e curioso! penso Alice, e si avvicino per osservarli, e quando vi fu presso senti che uno di loro diceva, "Fa attenzione, Cinque! Non mi schizzare con le tue pennellate!" "Non ho potuto farne di meno," rispose Cinque, con tuono burbero; "Sette mi ha urtato il gomito." Sette lo guardo e disse, "Ma bene! Cinque incolpa sempre gli altri!" "_Tu_ faresti meglio di zittire!" disse Cinque. "Non piu tardi di ieri, sentii che la Regina diceva che tu meriteresti d'essere decollato!" "Perche?" domando il primo che avea parlato. [Illustrazione] "Cio non preme a _te_, Due!" ripose Sette. "_Gli_ preme, certo!" disse Cinque, "e gliel diro io--perche portasti al cuoco bulbi di tulipano invece di cipolle." Sette scaravento lontano il suo pennello e stava li li per dire, "In mezzo a tutte le cose le piu ingiuste----" quando s'accorse d'Alice che li osservava, e divoro il resto della frase: gli altri la guardarono del pari e le fecero tutti una profonda riverenza. "Mi direste," domando Alice, ma timidamente, "perche state colorendo quelle rose?" Cinque e Sette non risposero, ma guardarono Due. Due disse allora con voce bassa, "Gli e perche, codesto costi doveva essere un rosajo di rose _rosse_, e noi per isbaglio ne abbiam piantato uno che da rose bianche; or se la Regina se ne avvedesse, a tutti le teste sarebbero tagliate. Cosi, Signorina, facciamo il meglio per riparare pria che venga a----" In quell'istante, Cinque che guardava attorno con ansieta, grido "La Regina! La Regina!" e i tre giardinieri si misero subito con la faccia per terra. Si senti un grande scalpiccio, e Alice si mise a guardare per veder la Regina. Prima comparvero dieci soldati armati di bastoni: erano conformati come i tre giardinieri, bislunghi e piatti, con le mani e i piedi agli angoli: seguivano dieci cortigiani, tutti sfolgoranti di diamanti; andavano a due a due, come i soldati. Venivano poi i principini reali; erano dieci, divisi a coppie e tenendosi per la mano,--andavano innanzi quegli amorini saltando come matti: erano ornati di cuori. Poi sfilavano gl'invitati, la maggior parte Re e Regine, e fra loro Alice riconobbe il Coniglio bianco; discorreva con una fretta nervosa, facendo bocca da ridere a chiunque gli parlava, e passo oltre senza punto badare ad Alice. Seguiva il Fante di Cuori, portando la Corona Reale sopra un cuscino di velluto rosso; e finalmente venivano IL RE E LA REGINA DI CUORI. Alice non sapea se dovesse cadere a faccia per terra come i tre giardinieri, ma non pote ricordarsi che ci fosse un tal cerimoniale nelle processioni regie; "e poi, a che servirebbero coteste processioni," riflette fra se, "se tutti dovessero stare a faccia per terra, e niuno potesse vederle?" Cosi resto dov'era, ed aspetto. Allorche la processione giunse vicina ad Alice, tutti si fermarono e la guardarono; e la Regina grido con cipiglio severo, "Chi e costei?" e si rivolse al Fante di Cuori, il quale rispose con un risolino e una riverenza. "Imbecille!" disse la Regina, e impaziente, scosse il capo; indi rivolgendosi ad Alice, continuo a dire, "Come ti chiami fanciulla?" "Maesta, mi chiamo Alice," rispose la fanciulla con molta garbatezza, ma soggiunse a se stessa, "Non e che un mazzo di carte soltanto. Non c'e da aver paura di costoro!" "E chi sono _cotestoro_?" domando la Regina, indicando i tre giardinieri che baciavano la polvere intorno al rosajo; perche, capite, siccome giacevano sulle lor faccie, e il disegno del loro di dietro rassomigliava a quello del resto del mazzo, non sapea discernere se fossero giardinieri, o soldati, o cortigiani, o tre de' suoi proprii figli. "Come volete ch'_io_ lo sappia," rispose Alice, che si meravigliava del suo proprio coraggio. "Cio non _mi_ spetta." La Regina divento di fiamma per la rabbia, dopo d'averla fissata ferocemente come una bestia selvaggia, grido, "Tagliatele il capo! subito----" [Illustrazione] "Eh, via!" rispose Alice a voce alta e con fermezza, e la Regina si tacque. Il Re appoggio la mano sul braccio della Regina, e disse timidamente, "Cara mia, riflettici bene su: la e una bambina!" La Regina gli volto le spalle con viso irato, e disse al Fante, "Rivoltateli!" Il Fante ubbidi, e con un piede li rivolto cautamente. "Levatevi!" urlo la Regina, e i tre giardinieri si alzarono immediatamente, e s'inchinarono davanti al Re, alla Regina, ai figli reali, e a tutti gli altri. "Basta!" sclamo la Regina. "Mi fate girare il capo." E guardando al rosajo, continuo, "Che cosa _avete fatto_ al rosajo?" "Con la buona grazia della Maesta vostra," rispose Due, con voce umile, e piegando il ginocchio a terra, "noi volevamo----" "Lo vedo!" disse la Regina, che avea gia osservate le rose. "Tagliate loro il capo!" e la processione reale si mosse, lasciando indietro tre soldati per mozzare il capo agli sventurati giardinieri, che corsero ad Alice per esser da lei protetti. "Non vi decapiteranno!" disse Alice, e li mise in un grosso vaso da fiori che stava vicino a lei. I tre soldati vagarono qua e la per qualche istante, in cerca di loro, e poi quietamente seguirono la processione reale. "Avete loro recisa la testa?" grido la Regina. "Maesta, le loro teste non sono piu!" risposero i soldati. "Bene!" grido la Regina. "Sapete giuocare a _croquet_?" I soldati zittirono, e guardarono Alice, credendo che la domanda fosse rivolta a lei. "Si!" grido Alice. "Avvicinatevi dunque!" urlo la Regina, ed Alice raggiunse la processione, curiosa di sapere cio che avverrebbe in seguito. "Fa--fa bel tempo!" disse una timida vocettina presso a lei. Vide che ella camminava a canto del Coniglio bianco, che la stava occhiando, affissandola in faccia con un certo fare inquieto e timoroso. "Bellissimo," rispose Alice: "dov'e la Duchessa?" "St! st!" disse il Coniglio a voce bassa, e parlando in fretta. Riguardo ansiosamente intorno a lui, ed alzandosi sulla punta de' piedi, bisbiglio all'orecchio della fanciulla, "E sotto sentenza di morte." "Per quale peccato?" domando Alice. "Avete detto 'Che peccato!'?" disse il Coniglio. "Ma no," rispose Alice: "Non credo punto che sia peccato. Dissi '_Per_ quale peccato?'" "Ha schiaffeggiata la Regina----" comincio il Coniglio. Alice scoppio in una grossa risata. "St!" bisbiglio il Coniglio tutto tremante, "La Regina vi potrebbe sentire! Vedete, essa e venuta un po tardi, e la Regina ha detto----" "Ai vostri posti!" grido la Regina con voce tuonante, e gl'invitati cominciarono a correre verso tutte le direzioni, rovesciandosi gli uni sugli altri: finalmente poterono mettersi in un certo ordine, e poi comincio il giuoco. Alice osservo che mai in sua vita non avea veduto un terreno piu curioso per giuocare il Croquet; era tutto a solchi e zolle; le palle erano ricci, i mazzapicchi erano feniconteri viventi, e gli archi erano soldati viventi, curvati e reggentisi sulle mani e su' piedi. [Illustrazione] La prima difficolta stava in cio che Alice non sapea come maneggiare il suo fenicontero; riusci a tenerselo bene avviluppato sotto il braccio, con le gambe penzoloni, ma quando gli allungava il collo, e si preparava a picchiare il riccio con la testa, il fenicontero girava il capo e poi si metteva a guardarla in faccia con una espressione tanto stupefatta che ella non poteva far di meno di scoppiare dalle risa: e quando gli abbassava di nuovo il collo, e si accingeva a ricominciare, ecco il riccio si era _sricciato_, e andava via: oltre a cio e era sempre una zolla o un solco la dove voleva sbalzare il riccio, e siccome i soldati si alzavano sempre e vagavano qua e la, Alice si persuase che quello era un giuoco disperatamente difficile. I giuocatori giuocavano tutti insieme senza aspettare la loro volta, litigando sempre e picchiandosi a causa de' ricci; di tal che la Regina ne divento furiosa, e andava qua e la battendo il piede e vociando ad ogni istante, "Mozzategli il capo!" oppure "Mozzatele il capo!" Alice comincio a sentire un po d'ansieta: e vero che non avea contrastata con la Regina, ma cio poteva accadere ad ogni momento, e penso "che cosa ne sara di me? Qui hanno un gusto matto a mozzar teste; e una meraviglia se ve ne sia alcuno che abbia ancora il capo sul collo!" E studiava il modo di scappar via, senza esser veduta, quando osservo un'apparizione curiosa nell'aria; prima ne resto sorpresa, ma dopo averla riguardata un poco, vide un ghigno, e disse fra se, "E Ghignagatto: ora avro qualcheduno con cui discorrere." "Come va il giuoco?" disse il Gatto, appena ch'ebbe tanta bocca per cominciare a parlare. Alice aspetto che gli occhi apparissero, e poi gli fe cenno col capo. "E inutile parlargli," penso fra se, "aspettiamo che almeno gli orecchi appariscano, almeno uno." Immediatamente apparve tutta la testa, e Alice depose il suo fenicontero, e comincio a raccontare come andava il giuoco, lieta che uno le prestasse attenzione. Il Gatto intanto dopo aver fatto mostra della sua testa, penso bene a non mostrare il resto del suo corpo. "Non credo che giuochino lealmente," disse Alice, lagnandosi, "contrastano fra loro furiosamente e non si puo sentire neppure la propria voce--non hanno ordine nel giuoco; e se ve n'e, niuno lo segue--e non potete credere che confusione c'e, perche qui tutto e vivente: per esempio, ecco l'arco ch'io dovrei traversare, ma mi scappa via all'altra estremita del terreno,--e avrei dovuto fare _croquet_ col riccio della Regina, ma m'e fuggito via appena vide il mio!" "Come vi piace la Regina?" domando il Gatto a voce bassa. "Punto, punto!" rispose Alice: "la e tanto----" Ma s'accorse che la Regina le stava vicino, origliando, e continuo, "--abile nel giuocare e vincere, ch'e inutile di finire la partita." La Regina sorrise, e ando altrove. "Con _chi_ parlate voi?" domando il Re, che s'era avvicinato ad Alice, ed osservava la testa del Gatto con molta curiosita. "E un amico mio--un Ghignagatto," disse Alice, "vorrei presentarlo a Vostra Maesta." "Non mi piace punto il ceffo che ha," rispose il Re; "ma puo baciarmi la mano, se vuole." "Non ne ho punto voglia," osservo il Gatto. "Non siate impertinente," disse il Re, "e non mi guardate a quel modo." E mentre parlava si nascondeva dietro ad Alice. "Un gatto puo guardare un Re," osservo Alice, "l'ho letto in qualche libro, ma non ricordo quale." "Bene, ma bisogna cacciarlo via," disse il Re con voce autorevole, e chiamo la Regina che passava cola in quel momento, "Cara mia! Vorrei che quel gatto fosse cacciato via!" La Regina conosceva una sola maniera per appianare tutte le difficolta, grandi o piccole che fossero, e percio senza neppure guardare intorno, grido, "Mozzategli il capo!" "Andro io stesso a cercare il boja," disse il Re, e ando via frettolosamente. Alice penso che sarebbe bene d'andare a vedere come il giuoco progrediva, tanto piu che senti da lontano la voce della Regina che urlava con ira. Ella avea di gia sentito che avea condannato nel capo tre giuocatori che avevano mancato alla loro volta; tutto cio non le piaceva, perche il giuoco era caduto in tale confusione che ella non sapea piu se la sua volta fosse venuta o no. Ando dunque in cerca del suo riccio. Il riccio stava allora battagliando contro un altro riccio, cio sembro ad Alice una occasione propizia, per battere a _croquet_ l'uno con l'altro di loro: ma v'era una difficolta, il suo fenicontero era andato all'altro lato del giardino, e Alice lo vide che si sforzava inutilmente di volare sopra un albero. Quando le riusci di afferrare il fenicontero e lo ricondusse sul terreno, il combattimento era finito, e i due ricci s'erano allontanati: "importa poco," penso Alice, "poiche tutti gli archi se ne sono iti all'altro lato del terreno." E se lo acconcio per benino sotto l'ascella, acciocche non scappasse piu, e ritorno al micio per riappiccicar con lui il discorso. Ma con sua sorpresa trovo una folla immensa intorno al Ghignagatto: il Re, la Regina, e il boja vociavano tutti e tre insieme, e gli altri erano silenziosi e malinconici. Appena Alice apparve, i tre si appellarono a lei per risolvere la quistione, e le ripeterono i loro argomenti, parlando tutti a una volta, cosi che era difficile per lei d'intendere che volessero dire. L'argomento del boja era che: non poteva tagliare una testa se non ci fosse un corpo da cui mozzarla; che non avea mai avuto a fare una cosa simile innanzi, e che non voleva cominciare a farne a quell'eta. L'argomento del Re era che: ogni essere che ha una testa puo essere decapitato, e il boja non dovea dir sciocchezze. L'argomento della Regina era che: se non si faceva presto avrebbe ordinato che tutti quelli che la circondavano fossero decapitati. (Era questa l'osservazione che avea dato a tutti quell'aria grave e piena d'ansieta.) Alice non seppe trovar altro a dire che, "Il gatto appartiene alla Duchessa: fareste bene di consultar _lei_ su di cio." [Illustrazione] "Ella e in prigione," disse la Regina al boja: "Conducetela qui." E il boja ando via come una saetta. Appena il boja spari, la testa del Gatto ando dileguandosi, e quando ritorno con la Duchessa, era sparita totalmente: il Re e il boja corsero qua e la all'impazzata per ritrovarla, mentre gl'invitati ritornarono a giuocare. CAPITOLO IX. STORIA DELLA FALSA-TESTUGGINE. "Non potete credere quanto son lieta di ritrovarvi, bambina mia!" disse la Duchessa, mettendo amichevolmente il suo braccio in quello di Alice, e camminando insieme. Alice era lieta di rivederla in tale buon umore, e penso che forse era il pepe che l'avea resa tanto irritabile quando la vide in cucina. "Allorche _saro_ Duchessa," disse fra se (ma senza troppo sperarlo), "non voglio aver _punto_ pepe nella mia cucina. La minestra e buona anche senza. Chi sa che non sia il pepe che rende la gente cotanto piccosa?" continuo tutta lieta d'aver scoperta una specie di nuova teoria, "e l'aceto che la rende aspra--e la camomilla che la rende amara--e sono i confetti e cose simili che addolciscono il carattere de' bambini. Vorrei che si conoscesse _cio_; le persone non sarebbero tanto tirchie a darcene----" E cosi discorrendo avea quasi dimenticata la Duchessa, e trasalto quando si udi dire all'orecchio. "Cara mia, voi avete la testa ad altro, e dimenticate di parlare con me. Non potrei dirvene ora la morale, ma me ne ricordero fra breve." "Forse non ne ha," osservo cautamente Alice. "Che, che, bimba!" disse la Duchessa. "Ogni cosa ha la sua morale, purche voi la possiate trovare." E si strinse piu presso ad Alice mentre parlava. Ad Alice non piacque l'esser cosi stretta con lei, primo perche la Duchessa era _bruttissima_, secondo, perche per la sua altezza ella appoggiava il mento sulla spalla d'Alice, ora quel mento era spiacevolmente acuto! Ma pure non volle essere scortese, e sopporto quella noja come meglio pote. "Il giuoco va meglio ora," disse cosi per alimentare la conversazione. "Eh si," rispose la Duchessa: "e questa n'e la morale:-- "_E amore--e amore--e il pazzeron d'amore Che fa girare il mondo,--ed il mio cuore!_" "Ma qualcheduno ha detto invece," bisbiglio Alice, "se ognuno badasse alle proprie faccende il mondo girerebbe meglio." "Bene! L'una vale l'altra," disse la Duchessa, e mentre conficcava il suo mento acuto nelle spalle d'Alice, continuo, "e la morale di _cio_ la e questa--'Guardate al _franco_; gli spiccioli si guarderanno da se.'" "Come si diletta a trovar la morale in ogni cosa!" penso Alice. "Scommetto che siete sorpresa perche non vi cingo la vita col mio braccio," disse la Duchessa dopo qualche istante, "ma gli e perche non so che razza d'umore abbia il vostro fenicontero. Facciamo la prova?" "Potrebbe mordervi," rispose Alice, che non ne voleva di quelli esperimenti. [Illustrazione] "E vero," disse la Duchessa: "i feniconteri e la senape pizzicano entrambi, e la morale e questa--'Chi si rassembra s'assembra.'" "Ma la senape non e un uccello," osservo Alice. "Bene, come sempre," disse la Duchessa: "voi dite ogni cosa assai benino!" "E un minerale, _credo_," disse Alice. "Certo," rispose la Duchessa, che pareva desiderasse d'acconsentire a tutte le cose che diceva Alice; "qui vicino c'e una grande miniera di senape. E la morale di cio e questa--'La miniera e la maniera Di gabbar la gente intiera.'" "Oh lo so!" sclamo Alice, che non aveva badato alle parole della Duchessa, "e un vegetale. Non ne ha l'apparenza, ma lo e." "Proprio cosi," disse la Duchessa, "e la morale di cio e questa--'Siate quello che volete parere'--o se volete che ve lo dica piu semplicemente--'Non vi crediate mai d'essere altra se non quella che apparite ad altri d'essere o d'essere stata o che possiate essere, e l'esser non e altro che l'essere di quell'essere ch'e l'essere dell'essere, e non altrimenti.'" "Credo che l'intenderei meglio," disse Alice con molta garbatezza, "se me la scriveste, ma non posso seguirvi con la mente quando la dite." "Questo e nulla rimpetto a quel che potrei dire, se ne avessi voglia," soggiunse la Duchessa, contenta come una pasqua. "Non v'incomodate a dirne di piu lunghe di quella che avete recitata or ora," disse Alice. "Che incomodo!" rispose la Duchessa. "Vi fo un regalo di tutto cio che ho detto sino ad ora." "E un regalo che costa niente," penso Alice. "Buono che non fanno di que' regali ne' giorni natalizii!" Ma non oso dir questo a voce alta. "Sempre meditabonda?" domando la Duchessa, mentre affondava quel suo mento acuminato sull'omero della bambina. "Ho ben di che!" rispose vivamente Alice, perche cominciava a sentirsi annoiata. E la Duchessa, "Come i porci ne hanno di volare: e la mo----" Qui, con gran sorpresa d'Alice, la voce della Duchessa ando morendo e si spense in mezzo alla parola 'morale' che tanto gradiva; il braccio ch'era nel suo comincio a tremare. Alice alzo gli occhi, e vide che la Regina stava davanti ad esse, le braccia conserte, accigliata e spaventevole come un uragano. "Maesta, che bella giornata!" balbetto la Duchessa con voce debole e fioca. "Vi do a tempo un avvertimento," tuono la Regina, battendo fieramente il terreno col piede; "o voi o la vostra testa dovranno abbandonare il giardino, e cio subito! Scegliete!" La Duchessa scelse, e fuggi via in un attimo. "Ritorniamo al giuoco," disse la Regina ad Alice, ma Alice era troppo spaventata, non oso rispondere, e la segui lentamente sul terreno. Gl'invitati intanto, profittando dell'assenza della Regina, si riposavano all'ombra: pero appena la videro ricomparire, ritornarono ai posti loro; la Regina fece soltanto capir loro che se avessero ritardato un momento avrebbero perduta la vita. Mentre giuocavano, la Regina continuava a querelarsi con altri giuocatori, gridando sempre "Mozzategli il capo!" oppure "Mozzatele il capo!" Coloro ch'erano sentenziati a morte, erano guardati da soldati che doveano cessare di servire d'archi al giuoco, e cosi in meno di mezz'ora, non c'erano piu archi, e tutt'i giuocatori, eccettuati il Re la Regina ed Alice, erano guardati e condannati nel capo. Finalmente la Regina lascio il giuoco, tutta sbuffante ed anelante, e disse ad Alice, "Hai veduto la Falsa-Testuggine?" "No," disse Alice. "Non so neppure che sia la Falsa-Testuggine." "E quella con cui si fa la minestra, di falsa Testuggine," disse la Regina. "Non ne ho mai veduto, ne udito parlare," soggiunse Alice. "Vieni dunque," disse la Regina, "ed essa ti raccontera la sua storia." Mentre andavano insieme, Alice senti che il Re diceva a voce bassa a tutt'i condannati, "Fo grazia a tutti." "Oh, ne son lieta!" disse fra se Alice, perche sapete, la nostra fanciulla era mestissima vedendo tanta gente condannata a morte dalla Regina. [Illustrazione] Tosto giunsero vicino a un Grifone, accoccolato e dormente al sole. (Se voi non sapete che e il Grifone, guardate la vignetta.) "Su, su, pigro!" disse la Regina, "conducete questa fanciulla a vedere la Falsa-Testuggine che le fara il racconto della sua vita. Quanto a me debbo tornare indietro per fare eseguire alcune sentenze di morte;" e ando via, lasciando Alice sola col Grifone. Non piacque ad Alice l'aspetto della bestia, ma poi riflettendo che il rimaner col Grifone non era tanto pericoloso per lei quanto il rimanere con quella selvaggia Regina, stette li, ed aspetto. Il Grifone si levo, si stropiccio gli occhi, aspetto che la Regina sparisse totalmente e poi si mise a sghignazzare. "Che commedia!" disse il Grifone, parlando un po' a se stesso, un po' ad Alice. "Qual'_e_ la commedia?" domando Alice. "_E_ lei stessa," soggiunse il Grifone. "E un ruzzo che ha in testa: ma le teste non son mai mozzate per cio. Venite!" "Qui ognuno comanda 'Venite!'" osservo Alice, mentre lo seguiva lentamente. "Non sono stata mai cosi comandata in tutta la mia vita!" Non si erano di molto inoltrati quando videro a una certa distanza la Falsa-Testuggine, che sedeva mesta e soletta sull'orlo d'una rupe, ed essendosi avvicinati un poco piu, Alice senti che sospirava come se le si spezzasse il cuore. Ella n'ebbe compassione. "Perche si duole?" domando al Grifone, e il Grifone rispose un po' su un po' giu come dianzi, "E un ruzzo che ha in testa, non ha dolore di sorta. Venite!" E andarono verso la Falsa-Testuggine, che li riguardo con certi occhioni ripieni di lagrime, ma senza far motto. "Questa fanciulla," disse il Grifone, "vorrebbe sentire la vostra storia, vorrebbe." "Gliela raccontero," rispose la Falsa-Testuggine con voce profonda e sepolcrale. "Sedete, e non dite una parola sin che io abbia terminato." E sedettero, e per qualche minuto, niuno fiato. Intanto Alice osservo fra se, "Non so come _mai_ terminera, se non comincia mai." Ma aspetto pazientemente. "Una volta," disse finalmente la Falsa-Testuggine con un gran sospirone "io era una vera Testuggine." Quelle parole furono seguite da un altro lunghissimo silenzio, interrotto soltanto da qualche "Hjckrrh!" dal Grifone e da' singhiozzi continui della Falsa-Testuggine. Alice stava per levarsi e dirle, "Grazie della vostra storia interessante," quando riflette che essa _doveva_ dire qualche cosa di piu, e sedette tranquillamente, senza far motto. [Illustrazione] "Quando eravamo piccini," continuo la Falsa-Testuggine, un poco piu quieta, ma sempre singhiozzando, "andavamo a scuola, al mare. La maestra era una vecchia Testuggine--e noi la chiamavamo Tartaruga----" "Perche la chiamavate Tartaruga se non era tale?" domando Alice. "La chiamavamo Tartaruga perche c'insegnava a tartagliare," disse la Falsa-Testuggine con dispetto: "Avete poco comprendonio!" "Vi dovreste vergognare di far questioni tanto semplici," aggiunse il Grifone; e poi zittirono, ed entrambi fissarono gli occhi sulla povera Alice che le pareva sprofondarsi sotterra. Finalmente il Grifone disse alla Falsa-Testuggine, "Va innanzi, comare! Ma non andar per le lunghe, sai!" E cosi continuo: "Andavamo a scuola al mare, benche voi non lo crediate----" "Non ho mai detto cio!" interruppe Alice. "Ma si," tuono la Falsa-Testuggine. "Zitta!" soggiunse il Grifone pria che Alice avesse potuto rispondere. La Falsa-Testuggine continuo: "Noi fummo educate benissimo--in fatti andavamo a scuola ogni giorno----" "_Anch'io_ andava a scuola ogni giorno," disse Alice; "non bisogna vantarsi per cosi poco." "E avevate degli _extra_?" domando la Falsa-Testuggine con qualche ansieta. "Si," rispose Alice, "imparavamo il Francese e la musica." "E il bucato?" disse la Falsa-Testuggine. "No, davvero!" disse Alice tutta corrucciata. "Ah! La vostra dunque non era una buona scuola," disse la Falsa-Testuggine, come se si sentisse sollevata. "Nella _nostra_, c'era alla fine del programma: 'EXTRA: Francese, musica, e _bucato_.'" "Ma non ne avevate bisogno," disse Alice; "voi vivevate nel fondo del mare." "Non ho avuto mai mezzi per impararlo," soggiunse sospirando la Falsa-Testuggine. "Cosi seguii soltanto i corsi ordinarii." "Cioe?" domando Alice. "A Reggere e Stridere prima di tutto," rispose la Falsa-Testuggine: "e poi le diverse operazioni dell'Aritmetica--Ambizione, Distrazione, Bruttificazione, e Derisione." "Non ho mai sentito parlare di '_Bruttificazione_,'" disse Alice. "Ch'e mai?'" Il Grifone levo le due zampe all'aria in segno di sorpresa e sclamo: "Mai sentito parlare di _bruttificazione_! Ma sapete che significa _bellificazione_, eh?" "Si," rispose Alice, ma un po dubbiosa: "significa--rendere--qualche cosa--piu bella." "Ebbene," continuo il Grifone, "se non sapete che significa bruttificare _voi siete_ una sciocca." Alice non si vedeva incoraggiata a fare altre domande, cosi si rivolse alla Falsa-Testuggine, e disse, "Che altro dovevate imparare?" "Ecco, c'era la Stoia," rispose la Falsa-Testuggine, contando i soggetti ad uno ad uno sulle natatoie--"la Stoia antica e moderna con la Girografia: poi il Disdegno--il Maestro di Disdegno era un vecchio grongo, e veniva una volta la settimana: c'insegnava il Disdegno, il Passaggio, e la Frittura ad Occhio." "_E questa_ a che rassomigliava ella?" disse Alice. "Non ve la potrei mostrare," rispose la Falsa-Testuggine, "perche vedete, son tutto d'un pezzo. E il Grifone non l'ha mai imparata." "Non ebbi tempo," rispose il Grifone: "ma studiai le lingue classiche, e bene. Ebbi per maestro un vecchio granchio, sapete." "Non andai mai da lui," disse la Falsa-Testuggine con un sospiro: "mi dissero che insegnava Catino, e Gretto." "Proprio cosi," disse il Grifone, sospirando anche lui, ed entrambe le bestie nascosero la faccia fra le zampe. "Quante ore di lezione avevate al giorno?" disse Alice prontamente, per mutare argomento. "Dieci ore il primo giorno," rispose la Falsa-Testuggine: "nove il secondo, e cosi discorrendo." "Che metodo curioso!" sclamo Alice. "Ma e questa la ragione perche si chiamano lezioni," osservo il Grifone: "perche soffrono lesioni ogni giorno." Era nuova quell'idea per Alice, e ci penso su un poco prima di fare quest'altra osservazione. "Allora avevate vacanza l'undecimo giorno?" "S'intende," disse la Falsa-Testuggine. "E come facevate nel duodecimo?" domando vivamente Alice. Ma il Grifone l'interruppe, e disse con voce risoluta, "Basta in quanto alle lezioni: dille ora qualche cosa dei giuochi." CAPITOLO X. LA CONTRADDANZA DE' GAMBERI. La Falsa-Testuggine die fuori un gran sospiro e passo il rovescio d'una natatoia sugli occhi. Riguardo ad Alice e cerco di parlare, ma per qualche istante i singhiozzi glielo impedirono. "Ei pare ch'abbia un osso a traverso della gola," disse il Grifone, e si accinse a scuoterla e a batterle la schiena. Finalmente la Falsa-Testuggine ricovero la voce, e con le lagrime che gli colavano sulle guancie, riprese il discorso:-- "Forse voi non siete vissuta lungo tempo nel fondo del mare"--("No, certo," disse Alice)--"e forse non siete stata mai presentata a un Gambero"--(Alice stava per dire "Una volta gustai----" ma inghiotti la frase, e disse, "No mai")--"cosi voi non potete farvi una idea della bellezza d'una contraddanza de' Gamberi!" "No, davvero," rispose Alice. "Ma ch'e mai la contraddanza de' Gamberi?" "Ecco," disse il Grifone, "prima di tutto si forma una linea lunghesso la spiaggia----" "Due linee!" grido la Falsa-Testuggine. "Foche, testuggini di mare, salmoni e simili: poi quando avete tolti via della spiaggia i polipi viscosi----" "E _cio_ fa perdere molto tempo," interruppe il Grifone. "---- voi fate un _avant-deux_." "Ognuno avendo un Gambero per cavaliere," grido il Grifone. "Eh, gia!" disse la Falsa-Testuggine: "voi fate un _avant-deux_, poi un _balance_----" "---- scambiate i Gamberi, e ritornate _en place_," continuo il Grifone. "E poi, capite?" continuo la Falsa-Testuggine, "voi scaraventate i----" "I Gamberi!" urlo il Grifone, saltando come un matto. "---- nel mare con tutta la vostra forza----" "Indi nuotate dietro a loro!" strillo il Grifone. "Fate una capriola nel mare!" grido la Falsa-Testuggine, saltellando mattamente qua e la. "Scambiate di nuovo i Gamberi!" vocio il Grifone a squarciagola. "Ritornate a terra di nuovo, e--e questa e la prima figura," disse la Falsa-Testuggine, abbassando la voce tutt'a un tratto, e le due bestie che pur dianzi saltavano follemente, si sdraiarono meste, silenziose, e guardarono Alice. "Debb'essere una gran bella contraddanza, cotesta," disse timidamente Alice. "Ne vorreste avere un saggio?" domando la Falsa-Testuggine. "Mi piacerebbe di molto," disse Alice. "Animo dunque, facciamo la prima figura!" disse la Falsa-Testuggine al Grifone. "Possiamo farla senza Gamberi, sapete. Chi cantera?" [Illustrazione] "Cantate _voi_," disse il Grifone. "Io ho dimenticate le parole." E cominciarono a ballare gravemente intorno ad Alice, pestandole i piedi quando le si avvicinavano troppo, e battendo il tempo con le zampe, davanti, mentre la Falsa-Testuggine cantava adagio adagio, e mestamente: _Nasel disse, a Lumaca--"Cammina un po piu lesta, Che un Porcellin di mare--la coda mi calpesta!-- Gia Gamberi e Testudi--sen vengono a fidanza, E aspettano il segnale--per cominciar la danza. Volete voi, volete,--volete voi ballare? Volete voi, volete,--co' Gamberi danzare?_ _"Che gioja! che delizia!--Innanzi e indietro andremo; Nel mar scaraventati--co' Gamberi saremo!" Rispose la Lumaca:--"Oime! gli e un po lontano! A me non piace un ballo--cotanto ardito e strano!" Volete voi, volete,--volete voi ballare? Volete voi, volete,--co' Gamberi danzare?_ _"Che male!" gli rispose--il candido Nasello, "Di la c'e un'altra sponda--c'e un suolo assai piu bello; Dall'Adria alla Dalmazia--faremo un salto audace, Oh non temer, carina,--sta quieta e vivi in pace! Volete voi, volete,--volete voi ballare? Volete voi, volete,--co' Gamberi danzare?"_ "Grazie tante! e una bella contraddanza," disse Alice, lieta che fosse finita; "e poi quel canto curioso del Nasello mi piace tanto!" "A proposito dei Naselli," disse la Falsa-Testuggine, "essi sono--voi ne avete veduti, non e vero?" "Si," rispose Alice, "li ho veduti spesso a tavo----" e inghiotti il resto della parola. "Non so dove sia Tavo," disse la Falsa-Testuggine, "ma se voi li avete veduti spesso, sapete che cosa sono." "Lo credo," rispose Alice, raccorgendosi. "Hanno la coda in bocca, e son tutti coperti di pan grattato." "V'ingannate in quanto al pan grattato," soggiunse la Falsa-Testuggine: "le miche di pane sparirebbero nel mare. Ma essi _hanno_ pero la coda in bocca; e la ragione e questa----" e qui la Falsa-Tartaruga sbadiglio, e chiuse gli occhi.--"Ditegliela voi la ragione," chiese al Grifone. "La ragione e la seguente," disse il Grifone, "essi _vollero_ andare al ballo co' Gamberi; e cosi furono buttati nel mare; e cosi fecero il capitombolo molto al di la; e cosi si attaccarono la coda in bocca; e cosi non potettero distaccarsela piu; e questo e quanto." "Grazie," disse Alice, "davvero e interessante. Non ne seppi mai tanto intorno a' naselli." "Presto, fateci un racconto delle _vostre_ avventure," disse il Grifone. "Ve ne potrei raccontare cominciando da stamane," disse Alice assai timidamente; "ma e inutile raccontarvi quelle di ieri, perche--ieri io era tutt'altra persona." "Oh! spiegateci cio," disse la Falsa-Testuggine. "No, no! prima le avventure," sclamo il Grifone, impaziente: "le spiegazioni sono lungaggini nojose." Cosi Alice comincio a raccontar loro i casi suoi sin dal momento che incontro il Coniglio bianco: ma bentosto comincio a sentire un poco di paura che le due bestie le si erano appiccicate ai fianchi, slargando gli occhi e spalancando le bocche, pero in pochi istanti la piccina si riebbe dal timore. I suoi uditori si mantennero quieti sino a che ella giunse alla ripetizione del "_Guglielmo, tu sei vecchio_" da lei fatta al Bruco, e siccome le parole le uscivano tutte diverse dal vero originale, la Falsa-Testuggine die fuori uno de' suoi sospironi, e disse, "E curioso davvero!" "E curioso come la curiosita," sclamo il Grifone. "E uscito fuori tutto diverso!" soggiunse la Falsa-Testuggine dopo averci riflettuto sopra. "Vorrei che ella ci recitasse qualche cosa ora. Dille che cominci." E guardo il Grifone pensando ch'egli avesse autorita sopra Alice. "Levatevi," disse il Grifone, "e ripeteteci la canzona piemontese '_Trenta quaranta----_'" "Oh come queste bestie comandano! e fanno recitar le lezioni!" penso Alice. "Sarebbe lo stesso per me che fossi a scuola." Cio non di meno si levo, e comincio a ripeter quel Canto; ma la sua testolina era tanto piena di Gamberi e di Contraddanze, che non sapea che si dicesse, e i versi usciron fuori assai male:-- _"Son trenta e son quaranta"--il Gambero gia canta "M'han troppo abbrustolito--mi voglio incipriare, In faccia a questo specchio--mi voglio spazzolare, E voglio rivoltare--e piedi e naso in su!"_ [Illustrazione] "Ma cotesto costi gli e diverso da quello ch'_io_ recitava quando era bimbo," disse il Grifone. "Non l'ho mai sentito prima," osservo la Falsa-Testuggine; "ma gli e sciocco oltremisura." Alice non rispose; ma sedette con la faccia nascosta fra le mani, pensando se _mai_ le cose tornassero una volta al loro corso naturale. "Vorrei che me lo spiegaste," domando la Falsa-Testuggine. "Non sa spiegarlo," disse il Grifone: "Cominciate la seconda strofa." "A proposito di piedi," continuo la Falsa-Testuggine. "Come _poteva_ egli rivoltarli, e col naso per giunta?" "E la prima posizione nel ballo," disse Alice; ma era talmente imbarazzata con quell'argomento, che non vedeva il momento di mutar soggetto. "Continuate la seconda strofa," replico il Grifone con impazienza; "comincia '_Bianca la sera_.'" Alice non osava disubbidire, benche fosse sicura che la reciterebbe tutt'al rovescio, e disse con voce tremante:-- _"Bianca la sera appare--nel lor giardino, in fretta, Mangiavano un pasticcio--l'ostrica e la civetta--"_ "Perche recitarci tutte coteste sciocchezze?" interruppe la Falsa-Testuggine, "se non ce le spiegate? E una vera Babelle di confusione!" "Si, fareste meglio di smettere," disse il Grifone, e Alice fu lieta di terminare quella filastrocca. "Vogliamo provare un'altra figura della contraddanza de' Gamberi?" continuo il Grifone. "O preferireste invece una canzona dalla Falsa-Testuggine?" "Oh si, una canzona, se la Falsa-Testuggine vorra cantarcela," rispose Alice, ma con tanta premura che il Grifone grido con una voce di bestia offesa. "Ah! Chi puo spiegare i gusti altrui? Compare, cantaci la canzona della _Zuppa di Testuggine_." La Falsa-Testuggine sospiro profondamente, e con voce talvolta soffocata da singhiozzi, canto cosi:-- _"Astro di sera! O verdeggiante e ricca Zuppa che fumi in concava zuppiera! In te rapito il cucchiaion si ficca, E ne riempie una scodella intiera! Astro di sera! deliziosa Zuppa! In te il mio pan s'inzuppa! E di te canto--o Zup--pa!-- Canto all'Astro di sera; Canto la tua bonta, civile Zuppa!_ _"Astro di sera! E chi sara lo sciocco Che a te preferira sia pesce o caccia, S'ei di te puo comprarne anche un baiocco Per lavarsi lo stomaco e la faccia? Astro di sera! deliziosa Zuppa! In te il mio pan s'inzuppa! E di te, canto--o Zup--pa! Canto all'Astro di sera; Canto la tua bonTA CI--VILE ZUPPA!"_ "_Bis_ il Coro!" grido il Grifone, e la Falsa-Testuggine si preparava a ripeterlo, quando s'udi una voce in distanza: "Comincia il processo!" "Vieni, vieni!" grido il Grifone, e prendendo Alice per mano, fuggi con lei, senza aspettar la fine del coro. "Che processo?" domando Alice, tutta affannata mentre fuggiva, ma il Grifone rispose soltanto "Vieni!" e scappava piu lesto, mentre il vento portava sempre piu debolmente alle loro orecchie l'eco fuggevole delle parole soavi e malinconiche:-- _"Canto all'Astro di sera; Canto la tua bon--ta ci--vile--Zuppa!"_ CAPITOLO XI. CHI HA RUBATO LE TORTE? E giunsero; e videro che il Re e la Regina di Cuori erano seduti in trono, circondati da una gran folla composta di uccellini, di bestioline e da tutto il mazzo di carte: il Fante stava davanti, incatenato, con un soldato a destra e un altro a sinistra: presso al Re stava il Coniglio bianco con la tromba in una mano, e un ruotolo di pergamene nell'altra. Nel mezzo della corte c'era una tavola, con un gran piatto di torte le quali sembravano tanto buone che risvegliarono l'appetito ad Alice--"Vorrei che finissero presto il processo," penso Alice, "e che ci servissero quelle buone torte!" Ma siccome non ce n'era neppure la speranza allora, ella comincio a guardare tutt'intorno per uccidere il tempo. Alice non era stata mai in un tribunale, ma ne avea letto alcunche ne' libri, e fu lieta di poter chiamare per nome tutti coloro che vedea. "Quegli e il giudice," disse fra se, "perche porta quel gran parruccone." E il giudice non era altro che il Re, e siccome portava la corona sopra la parrucca (guardate il frontespizio per averne un'idea), era un poco imbarazzato; certo non gli andava bene. "E quello e il seggio de' giurati," osservo Alice, "e quelle dodici creature," (disse "creature," capite, perche alcune erano bestie, ed altre uccelli), "credo che sieno i giurati." E ripete queste parole un pajo di volte, fiera del suo sapere, poiche penso, e ne avea ben d'onde, che pochissime ragazze dell'eta sua sapessero cio. I dodici giurati erano occupatissimi a scrivere sulle lavagne. "Che cosa fanno?" bisbiglio Alice all'orecchio del Grifone. "Non possono aver nulla da scrivere, perche il processo non e ancora cominciato." "Scrivono i loro nomi," bisbiglio in risposta il Grifone: "temono di scordarsene pria che il processo sara finito." "Sciocchi!" grido Alice con voce disdegnosa, ma si fermo subito perche il Coniglio bianco, sclamo, "Silenzio nel Tribunale!" e il Re inforco gli occhiali e si mise a riguardare ansiosamente in ogni parte per vedere chi parlasse. Alice vedeva cosi bene come se fosse stata dietro le loro spalle, che scrivevano "sciocchi," sulle loro lavagne: osservo altresi che uno di loro non sapeva sillabare "sciocchi," e domandava al suo vicino come dovea compitarlo. "Che ammasso di scarabocchi faranno sulle lavagne pria che il processo sia terminato!" penso Alice. Uno de' giurati aveva una matita che scricchiolava. Alice _non_ la poteva soffrire, e percio giro intorno al Tribunale, giunse alle spalle di lui e colse tosto il destro per strappargliela. Cio fece con tale lestezza che il piccolo giurato (era Tonio, la Lucertola) non seppe che fosse della sua matita; giro qua e la per ritrovarla, ma invano, percio dovette rassegnarsi a scrivere col dito in tutto il resto della giornata. Cio valse poco, perche il dito non lasciava traccia alcuna sulla lavagna. "Usciere, leggete l'atto d'accusa!" disse il Re. Allora il Coniglio die tre squilli di tromba, poi apri il ruotolo delle pergamene, e lesse cosi:-- _"La Regina di Cuori Fe delle torte in un bel di d'esta: L'empio Fante di Cuori Rubo le torte; e certo, a morte andra!"_ "Ponderate il vostro verdetto," disse il Re a' giurati. "Non tanta fretta!" interruppe vivamente il Coniglio. "Vi son molte cose da fare prima!" [Illustrazione] "Chiamate il primo testimonio," disse il Re; e il Coniglio bianco die tre squilli di tromba, e grido: "Il primo testimonio!" Ora il primo testimonio era il Cappellaio. Venne con una tazza di te in una mano, una fetta di pane col burro nell'altra. "Domando perdono alla Maesta Vostra," disse, "se vengo cosi impacciato; ma il fatto sta ch'io non avea finito ancora di prendere il te quando fui chiamato." "Avreste dovuto finirlo," rispose il Re. "Quando avete cominciato a prenderlo?" Il Cappellaio guardo la Lepre-marzolina che l'avea seguito al Tribunale andando a braccetto col Ghiro. "_Credo_, al quattordici di Marzo," disse il Cappellaio. "Al quindici," sclamo la Lepre-marzolina. "Al sedici," soggiunse il Ghiro. "Notate queste cose," disse il Re ai giurati, e questi si misero a scrivere con molta premura le tre date, sopra le lavagne, e poi le sommarono riducendole a lire e centesimi. "Cavatevi il cappello," disse il Re al Cappellaio. "Non e mio," rispose il Cappellaio. "_E rubato!_" sclamo il Re, rivolto a' giurati, i quali subito presero nota del delitto. "Ne tengo per venderli," soggiunse il Cappellaio per spiegare il fatto: "Non ne ho di mio. Sono un cappellaio." Qui la Regina inforco gli occhiali, guardo fieramente il Cappellaio che allibbi di paura. "Rendete la vostra testimonianza," disse il Re; "e non siate spaventato, altrimenti vi faro subito mozzare il capo." Queste parole non incoraggirono punto il testimone: ei non si reggeva piu in gambe; guardava ansiosamente la Regina, e confuso, morsico un bel pezzo del labbro della tazza, invece del pane col burro. Giusto allora Alice provo una sensazione curiosissima, che la riempi di sorpresa, sino a che potette rendersene ragione: ella cresceva di nuovo; penso che sarebbe stato bene per lei di lasciare il Tribunale, ma poi riflettendoci su, volle restare, almeno sino a che vi fosse spazio per lei. "Vorrei che non pigiaste tanto," disse il Ghiro che le sedeva vicino. "Posso appena respirare." "Non posso fare a meno," rispose soavemente Alice: "Vedete, sto crescendo." "Voi non avete nessun dritto di crescere _qui_," urlo il Ghiro. "Non dite delle sciocchezze," grido Alice, "sapete che anche voi crescete." "Si, ma non tanto," soggiunse il Ghiro: "_io_ non cresco a quel modo ridicolo." E borbottando fra se, si alzo, e ando a mettersi all'altro lato del Tribunale. Intanto la Regina non avea mai sviato il suo sguardo feroce dal Cappellaio, e mentre il Ghiro traversava la sala del tribunale, disse ad un usciere, "Recatemi la lista de' cantanti nell'ultimo concerto!" A queste parole il Cappellaio tremo a verghe, cosi che le scarpe gli scappavano da' piedi. "Rendete la vostra testimonianza," ripete fieramente il Re, "o vi faro mozzare il capo, poco importa che tremiate o no." "Maesta, sono un povero sventurato," comincio il Cappellaio con voce tremante, "ed ho appena cominciato a prendere il te--non e ancora una settimana--e in quanto al pane col burro che si assottiglia--e alla testa soppressata." "Che soppressata?" sclamo il Re. [Illustrazione] "La testa soppressata _comincio_ col te," rispose il Cappellaio. "Sicuro che 'testa' comincia con un T!" disse vivamente il Re. "M'avete voi preso per un gonzo? Andate via!" "Sono un povero sventurato," continuo il Cappellaio, "e dopo il te, tentennavano tutti,--solo la Lepre-marzolina disse----" "Non dissi niente!" interruppe con impeto la Lepre-marzolina. "Lo diceste!" disse il Cappellaio. "Lo nego!" replico la Lepre-marzolina. "Lo nega," disse il Re: "ebbene lasciate andare." "Bene, ad ogni modo il Ghiro disse----" e il Cappellaio lo guardo per vedere s'egli pure volesse dargli una mentita: ma il Ghiro non negava, dormiva profondamente. "Dopo cio," continuo il Cappellaio, "mi preparai un'altra fetta di pane col burro----" "Ma che cosa disse il Ghiro?" domando un giurato. "Non me lo posso ricordare," disse il Cappellaio. "Voi _dovreste_ ricordarlo," osservo il Re, "se no vi faro mozzare il capo." Il misero Cappellaio si lascio cadere la tazza, il pane col burro, e le ginocchia a terra, e sclamo: "Maesta, sono un povero mortale!" "Siete un _povero oratore_," disse il Re. Qui un porcellino d'India die un applauso, ma subito fu soppresso dagli uscieri del Tribunale. (Ed ecco come fecero: presero un sacco di canavaccio con de' legacci all'orlo; vi gittaron giu capovolto il porcellino d'India, e poi vi si sedettero sopra.) "Son contenta d'aver veduto cio," penso Alice. "Ho letto tante volte ne' giornali, alla fine de' processi, 'Vi fu un tentativo d'approvazione che fu subito soppresso dagli uscieri del Tribunale,' ma sino ad ora non potetti mai comprendere che volesse dire." "Se e questo tutto quel che sapete, voi potete ritirarvi," continuo il Re. Qui un altro porcellino d'India die un applauso, ma fu soppresso. "Addio, porcellini d'India! non vi vedro piu!" disse Alice. "Ora le cose andranno meglio." "Vorrei piuttosto finire il mio te," disse il Cappellaio, riguardando con ansieta la Regina, la quale leggeva la lista de' cantanti. "Potete andare," disse il Re, e il Cappellaio fuggi dal Tribunale, senza nemmeno rimettersi le scarpe. "---- e mozzategli il capo fuori," soggiunse la Regina indirizzandosi ad un ufficiale; ma il Cappellaio era sparito dalla vista, pria che l'ufficiale giungesse alla porta. [Illustrazione] "Chiamate l'altro testimonio!" grido il Re. Era la cuoca della Duchessa. Aveva la pepaiola in mano, e Alice indovino chi fosse, anche prima che entrasse nel Tribunale, perche tutti coloro ch'erano vicini all'uscio cominciarono a starnutire. "Rendete la vostra testimonianza," disse il Re. "No," rispose la cuoca. Il Re guardo con ansieta il Coniglio bianco che mormoro a voce bassa, "Maesta, esaminate da voi stesso _questo_ testimone." "Bene, se debbo farlo, mi converra farlo," disse il Re con una ciera malinconica, e dopo aver poste le braccia conserte al petto, e fatto gli occhiacci alla cuoca, disse con voce profonda, "Di che sono composte le torte?" "Di pepe, per la maggior parte," rispose la cuoca. "Di melazzo," soggiunse una voce sonnolenta dietro ad essa. "Afferrate quel Ghiro!" grido la Regina. "Tagliategli il capo! Fuori quel Ghiro! Sopprimetelo! Pizzicatelo! Strappategli i baffi!" Durante qualche istante il Tribunale fu una vera confusione, mentre il Ghiro era preso; e quando si ristabiliva l'ordine, la cuoca era sparita. "Non importa!" disse il Re con un'aria di sollievo. "Chiamate l'altro testimone." E bisbiglio all'orecchio della Regina: "Cara mia dovreste esaminar _voi_ l'altro testimone." Alice stava osservando il Coniglio che ripassava la lista, curiosa di vedere chi mai sarebbe l'altro testimone--"perche _sin' ad ora_ non hanno affatto prove," diceva fra se. Figuratevi la sua sorpresa, quando il Coniglio bianco chiamo con la sua voce stridula "Alice!" CAPITOLO XII. TESTIMONIANZA D'ALICE. "Eccomi!" rispose Alice, e dimenticando che in quegli ultimi momenti era cresciuta smisuratamente, salto su molto lesta, rovesciando col suo gonnellino il palchetto de' giurati, di tal che questi capitombolarono con la testa in giu sulla folla ch'era di sotto, e restarono con le gambe all'aria. Cio le rammento il rovescione che la settimana avanti aveva casualmente dato a un globo di cristallo che conteneva de' pesciolini dorati. "Oh, vi _prego_ d'avermi per iscusata!" sclamo con voce d'angoscia, e comincio a raccattarli con molta sollecitudine, perche piena dell'idea de' pesciolini dorati caduti dal globo, pensava che dovea prontamente raccoglierli e rimetterli nel palchetto de' giurati, se no sarebbero morti. [Illustrazione] "Il processo," disse il Re con voce autorevole e grave, "non potra andare innanzi, se non quando tutt'i giurati saranno rimessi ne' loro proprii posti,--dico _tutti_" soggiunse con molta enfasi, riguardando fieramente Alice. Alice guardo il palchetto de' giurati, e vide che nella fretta, avea rimessa la Lucertola col capo in giu, per cui la povera bestiolina agitava la coda al di sopra ma in modo da eccitare la compassione, perche non poteva muoversi. Subito la estrasse, e la rimise convenientemente; "non gia perche importi assai," disse fra se, "poiche ne la sua coda ne la sua testa recheranno vantaggio al processo." Appena che i giurati si rimisero dal colpo che li avea rovesciati, e che furono ritrovate le lavagne e le matite, e consegnate loro, si misero a scarabocchiare con molta premura la storia del loro ruzzolone, salvo la Lucertola che non s'era riavuta e sedeva con la bocca spalancata, e guardando la volta. "Che cosa sapete di quest'affare?" domando il Re ad Alice. "Niente," rispose Alice. "Niente _affatto_?" replico il Re. "Niente affatto," soggiunse Alice. "Cio e molto importante," disse il Re, rivolgendosi a' giurati. Essi si accingevano a scriverlo sulle lavagne, quando il Coniglio bianco li interruppe: "_Non_-importante, e questo il senso delle parole di Vostra Maesta," disse con voce rispettosa, ma saettandolo col guardo e facendogli il visaccio mentre parlava. "_Non_-importante, gia e quel che volea dire," soggiunse in fretta il Re; e poi si mise a recitar fra' denti "importante--non-importante-- non-importante--importante," come che volesse provare quale delle due parole suonasse meglio all'orecchio. Alcuni de' giurati scrissero "importante," altri "non-importante." Alice potette osservarlo, poiche era vicina a loro e potea sbirciare sulle lavagne; "ma non importa niente," penso fra se. Allora il Re, che era stato occupatissimo a scrivere sul suo taccuino, grido "Silenzio!" e lesse dal suo libriccino "Regola quarantaduesima. _Ogni persona, la cui altezza supera il miglio, deve uscire dal Tribunale._" Ognuno riguardo Alice. "Io _non sono_ alta un miglio," disse Alice, "Si che lo siete," rispose il Re. "Quasi due miglia d'altezza," soggiunse la Regina. "Ebbene, poco mi cale, ma non andro via," disse Alice, "oltre a cio quella non e una regola regolare; l'avete inventata ora." "Che! e la piu vecchia regola nel libro," rispose il Re. "Allora dovrebbe essere la regola prima," disse Alice. Il Re impallidi, e chiuse il taccuino in fretta. "Ponderate il vostro verdetto," disse, rivolgendosi a' giurati, ma con voce sommessa e tremolante. "Maesta vi sono altre testimonianze," disse il Coniglio bianco, sbalzando in piedi. "Giusto adesso abbiam trovato questo foglio." "Che c'e dentro?" domando la Regina. "Non l'ho aperto ancora," disse il Coniglio bianco, "ma sembra una lettera, scritta dal prigioniere a--a qualcheduno." "Dev'essere cosi," disse il Re, "salvo che sia stata scritta a nessuno, cio che non si fa generalmente." "A chi e indirizzata?" domando uno de' giurati. "Non ha indirizzo di sorta," disse il Coniglio bianco: "di fatti non c'e scritto nulla _al di fuori_." E spiego il foglio mentre parlava, e soggiunse, "Somma tutto non e punto una lettera; e un accozzaglia di versi." "Son dessi scritti dalla mano del prigioniere?" domando un giurato. "No, non lo sono," rispose il Coniglio bianco, "ed e questa la piu strana di tutte le cose." (I giurati si riguardarono confusi). "Forse egli ha imitata la scrittura di qualcheduno," disse il Re. (Qui i giurati si rasserenarono). "Maesta," disse il Fante, "non li ho scritti, e niuno potrebbe provarmi l'opposto. E poi non c'e nessuna firma alla fine." "Il non averlo firmato," rispose il Re, "prova doppiamente il vostro delitto. Voi _dovevate_ avere l'intenzione d'offendere, se no, da galantuomo avreste firmato il foglio." Tutti applaudirono, e con ragione, perche era quello il primo detto spiritoso che il Re avesse detto in quel giorno. "Cio _prova_ il suo delitto," sclamo la Regina. "Cio non prova niente affatto!" disse Alice. "Ma se non sapete neppure cio che contiene il foglio!" "Leggetelo," disse il Re. Il Coniglio bianco inforco gli occhiali, e domando: "Maesta, dove debbo incominciare?" "Cominciate dal principio," disse il Re con tuono solenne, "e continuate sino alla fine: poi fermatevi." Or questi erano i versi letti dal Coniglio bianco:-- _"Ella vi fece un grazioso invito, Ed a lui mi voleste rammentar, E quindi ella mi dette il ben servito, Ma mi disse: Non sai mica nuotar._ _Ch'io non la visitai, disse pur dianzi, (E questo e il vero, e ognun di noi lo sa), Ma se lei spingera la cosa innanzi, Oh dite, allor di voi che ne avverra?_ _Una a lei detti, ed essi due le diero, E voi men deste tre col sopra piu; Tutte a voi ritornarono--oh mistero! Eppure erano mie, or nol son piu._ _Se dessa od io per caso inopinato Involti in quest'affare ci vedrem, Confido in voi che ognun fia liberato; Come prima fra noi li rivedrem._ _Spiegarmi alfine mi sara concesso; (Gia, sapete, un attacco ella, senti), Ma voi foste per lui, per noi, per esso L'ostacolo fatal che la colpi._ _Non gli dite giammai che preferisca Costoro,--cio debb'essere un mister, Un secreto che altrui non apparisca, Un secreto nascosto nel pensier."_ "E questo il piu importante documento contro l'accusato," disse il Re, stropicciandosi le mani; "or dunque i giurati----" "Se uno di loro potesse spiegarmelo," disse Alice (la quale era talmente cresciuta in quegli ultimi istanti che non avea piu paura d'interrompere il Re), "gli darei cinquanta centesimi. _Io_ non credo che vi sia in esso neppure un briciolo di senso comune." I giurati scrissero tutti sulle lavagne, "_Ella_ non crede che vi sia in esso neppure un briciolo di senso comune," ma niuno cerco di spiegare il senso di quel foglio. "Se non c'e senso comune," disse il Re, "cio ci toglie da un mondo d'imbarazzi, e noi certo non ci affanneremo per trovarvene uno. Eppure non saprei," continuo spiegando il foglio sul ginocchio, e sbirciando la poesia; "ma mi pare di vedere un senso occulto in essi--_'disse--Non sai mica nuotar'_--voi non potete nuotare, non e vero?" continuo, rivolgendosi al Fante. Il Fante scosse mestamente il capo, e disse, "Ne ho io l'apparenza?" (E certamente, no, perche era fatto tutto di cartone). "Bene per ora," disse il Re, e continuo fra se stesso a borbottare su' versi: "_'E questo e il vero, e ognun di noi lo sa'_--cio si riferisce a' giurati, non c'e dubbio--_'Una a lei detti, ed essi due gli diero'_--cio spiega l'uso ch'egli fece delle torte, intendete--" "Ma," disse Alice, "continua con le parole _'Tutte a voi ritornarono.'_" [Illustrazione] "Gia, esse sono la," disse il Re con un'aria di trionfo, indicando le torte ch'erano sulla tavola. "Niente di piu chiaro di _cio_. Continua--_'Gia, sapete, un attacco ella senti'_--voi non aveste mai degli attacchi nervosi, cara mia, non e vero?" soggiunse, rivolgendosi alla Regina. "Non mai!" tuono furiosamente la Regina, e in quell'istante scaglio un calamajo al capo della Lucertola. (Il povero Tonietto avea abbandonato l'uso di scrivere col dito sulla lavagna, perche s'era accorto che non vi lasciava traccia alcuna; ma ora si rimise sollecitamente all'opera, usando l'inchiostro che gli gocciolava sulla faccia, e l'uso sinche n'ebbe). "Dunque queste parole non si _attaccano_, a voi," disse il Re, guardando con la bocca sorridente tutt'intorno al Tribunale. E vi fu gran silenzio. "E un bisticcio!" soggiunse il Re, con voce irata, e tutti allora risero. "Che i giurati ponderino il loro verdetto," ripete il Re, forse per la ventesima volta in quel giorno. "No, no!" disse la Regina. "Prima la sentenza--poi il verdetto." "Ma che sciocchezze!" sclamo Alice ad alta voce. "Che idea d'aver prima la sentenza!" "Tacete!" grido la Regina, tutta infiammata in viso. "No certo!" disse Alice. "Decapitatela!" urlo la Regina con tutta la voce che aveva in gola. Ma niuno si mosse. [Illustrazione] "Chi vi stima? chi vi teme?" disse Alice, (allora era cresciuta di tanto che giungeva alla sua statura naturale). "Voi non siete altro che un mazzo di carte!" Appena disse queste parole tutto il mazzo si sollevo in aria furiosamente, e poi si rovescio sopra la fanciulla: essa dette un piccolo strillo, un po' commossa dalla paura, un po' dall'ira, e cerco di respingerle da se, ma si ritrovo sul poggio, col capo appoggiato sulle ginocchia di sua sorella la quale le toglieva con molta delicatezza alcune foglie appassite ch'erano cadute sulla sua faccia. "Risvegliati, Alice cara!" le disse la sorella; "che buona dormitona hai fatto, eh!" "Oh! ho avuto un sogno tanto curioso!" disse Alice, e racconto alla sorella, il meglio che per lei si potesse tutte le strane Avventure che avete lette sino ad ora; e quando fini, sua sorella la bacio, e le disse, "E _stato_ davvero un sogno curioso, cara mia: ma ora, va' subito a prendere il te; e gia tardi." E cosi Alice si levo, e, ando via, pensando mentre correva, al sogno straordinario che aveva avuto. * * * * * Ma sua sorella rimase cola, e col capo appoggiato alla mano, tutta intenta a riguardare il sol cadente, e riflettendo sulla piccola Alice e sulle sue Avventure meravigliose, cadde in una specie d'assopimento, e sogno talcosa simile a questo:-- Prima di tutto sogno la piccola Alice:--con le sue manine delicate e congiunte sulle ginocchia di lei, e co' suoi grandi occhi lucenti fissi in lei. Poteva sentire il vero suono della sua voce, e vedere quello strano agitarsi della sua testolina per rigettare indietro i capelli che _voleano_ per forza velarle il viso:--e mentre era tutta intenta ad ascoltare, o sembrava che fosse cosi, tutto il luogo che la circondava si animo, popolandosi di quelle creature vedute nel sogno dalla sua sorellina. L'erba rigogliosa stormiva sotto di lei, mentre il Coniglio bianco scappava via--il Sorcio spaventato s'apriva, sguazzando, una via in mezzo dello stagno vicino--poteva sentire il rumore delle tazze, mentre la Lepre-marzolina e gli amici suoi partecipavano a quel loro perenne pasto--udiva la voce strillante della Regina che mandava i suoi invitati al patibolo--anche una volta il bimbo porcellino starnutiva sulle ginocchia della Duchessa, mentre i tondi e i piatti volavano d'ogni intorno--anche una volta l'urlo del Grifone, lo scricchiolio della matita della Lucertola, la soppressione de' porcellini d'India riempivano l'aria, sposati al singhiozzar lontano della miserabile Falsa-Testuggine. E sedette, con gli occhi a meta chiusi, e quasi si credette davvero nel paese delle Meraviglie; benche sapesse che, aprendo gli occhi, tutto sarebbe mutato in realta desolante--avrebbe sentito l'erba stormire all'agitar del vento--avrebbe veduto lo stagno increspato a causa delle canne--il rumore delle tazze si sarebbe mutato nel tintinnio dei campanelli delle pecore, e la voce stridente della Regina nella voce del pastorello--e gli starnuti del bimbo, l'urlo del Grifone, e tutti gli altri strepiti curiosi, si sarebbero mutati (e lei n'era persuasa) nel rumore confuso d'una fattoria, e il muggito lontano degli armenti avrebbe surrogato i profondi singhiozzi della Falsa-Testuggine. Finalmente, volle figurarsi la sua sorellina gia cresciuta e diventata donna,--conservare ne' suoi anni maturi il cuore affettuoso e semplice della sua fanciullezza--raccogliere intorno a se altre fanciulle, e far _loro_ brillare gli occhi beandoli con istorielle curiose e strane, e forse anche col sogno delle Avventure nel Paese delle Meraviglie; e con quanta simpatica tenerezza avrebbe ella stessa partecipato alle loro innocenti angosce, e con quanta letizia alle loro gioje, riandando i beati giorni della fanciullezza, e le gioconde giornate dell'estate. FINE. LONDRA: R. CLAY, FIGLI, E TAYLOR, STAMPATORI, BREAD STREET HILL. * * * * * Nota del Trascrittore La punteggiatura e l'ortografia originali sono state mantenute. Minimi errori di stampa sono stati corretti senza annotazione. Sono stati inoltre corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale): manco che non glielo [gielo] portasse via. affissandola in faccia con un certo fare [faze] inquieto bisbiglio all'orecchio della fanciulla, "E [E] sotto che s'era avvicinato [avvicinata] ad Alice, ed osservava la vuole [voule]." fra [far] breve." le [e] tre date, sopra le lavagne, e poi le sommarono [sommaronol] ***END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LE AVVENTURE D'ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE*** ******* This file should be named 28371-8.txt or 28371-8.zip ******* This and all associated files of various formats will be found in: http://www.gutenberg.org/dirs/2/8/3/7/28371 Updated editions will replace the previous one--the old editions will be renamed. 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